martedì 1 novembre 2016

LO STRANIERO NELL'ARTE ROMANA

Di Simone Rambaldi
Roma si trovò a confrontarsi con i tanti popoli sparsi nei più lontani territori dell'oikoumene, il mondo abitato che gli antichi conoscevano, a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. In seguito alla lotta contro la potenza cartaginese, infatti, la sua supremazia politica e militare cominciò a estendersi anche al di fuori dei confini naturali della penisola italiana, per continuare ad ampliarsi ancora fino al III secolo d.C., quando Settimio Severo e il figlio Caracalla furono gli ultimi imperatori a potersi fregiare del titolo di propagatores imperii[1]. I rapporti intrattenuti con le popolazioni straniere potevano essere, di volta in volta, all'insegna dell'alleanza, dell'integrazione o della sottomissione, ma le fonti che possediamo, comprese quelle greche, sono sempre concordi nel tramandare come, nei confronti delle relazioni internazionali, la posizione romana fosse costantemente improntata a una convinzione di superiorità morale e di irresistibile capacità civilizzatrice[2]. Roma, con le proprie norme e il proprio modus vivendi, finiva per sovrapporsi inevitabilmente agli altri popoli che entravano a far parte del suo immenso impero, i quali potevano in genere conservare le tradizioni e i culti aviti, ma erano comunque costretti ad adeguarsi ufficialmente alla cultura romana, soprattutto in tutti gli aspetti pubblici e sociali in cui si esprimeva il vivere civile.
Di questo enorme processo di assimilazione l'arte figurativa ci conserva preziose testimonianze, fondamentali per capire a fondo l'atteggiamento della civiltà romana verso i popoli con cui entrava in contatto e ai quali imponeva la propria supremazia. Poiché si tratta di un problema assai complesso, in questa sede dobbiamo limitarci a considerare un numero ristretto di esempi, senza oltrepassare il periodo delle ultime conquiste severiane, soprattutto con lo scopo di enucleare i temi fondamentali attorno ai quali ruotava l'interesse della committenza[3]. Del resto, come si avrà modo di vedere, si possono facilmente isolare alcune costanti che si ritrovano praticamente in tutti i periodi in cui si esercitò l'imperialismo romano: su queste soprattutto cercherò di attirare l'attenzione.
Possiamo prendere le mosse da due testimonianze risalenti agli anni centrali del I secolo a.C., rappresentate da due sculture conservate a Roma, famose quanto significative, i cosiddetti "Galata morente" del Museo Capitolino[4] (fig. 1) e il "Galata suicida" della collezione Ludovisi[5] (fig. 2), oggi nella nuova sede del Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps. Si tratta di copie marmoree di statue che in origine appartenevano a un unico monumento ellenistico, il donario in bronzo dedicato dal sovrano Attalo I sull'acropoli di Pergamo, precisamente nel santuario di Athena Nikephoros, al fine di celebrare le sue vittorie sui Galati, i Celti che, dopo avere depredato l'Asia Minore, si erano ritirati al suo interno. Secondo l'interpretazione tradizionale[6] questo ex voto, dalla datazione discussa ma comunque collocabile nel terzo quarto del III secolo a.C. o immediatamente dopo, si componeva di un podio circolare, sormontato da sculture. Al centro, fulcro di tutto l'insieme, si trovava l'originale del gruppo Ludovisi, formato da un Galata rappresentato nell'atto di togliersi la vita subito dopo avere ucciso la moglie, che giace morente ai suoi piedi; tutt'intorno vi erano invece le statue di altri quattro guerrieri galati, esanimi o agonizzanti, fra i quali l'originale della statua capitolina, raffigurante un barbaro ferito a morte, che sta per accasciarsi al suolo in mezzo alle sue armi[7]. Tali sculture costituiscono momenti importanti nello sviluppo dell'ellenismo pergameno, con la loro attenzione per momenti di elevata drammaticità, che commuovono fortemente lo spettatore. Le copie romane provengono dagli Horti Sallustiani, che prima di appartenere allo storico erano stati di proprietà di Giulio Cesare[8], il quale aveva probabilmente voluto decorare i suoi giardini urbani con queste opere perché bene si prestavano, per il loro contenuto, a ricordare le sue imprese galliche. Non è chiaro se negli Horti fosse stato ricostruito il donario di Attalo nella sua interezza, oppure se i suoi singoli componenti scultorei fossero stati disseminati in punti diversi del parco. In ogni caso possiamo vedere come, in età tardorepubblicana, una serie di raffigurazioni di stranieri vinti, desunta da un monumento pubblico in origine destinato a immortalare le imprese di un dinasta ellenistico, potesse servire anche per decorare possedimenti privati.
Queste statue, in quanto copie di originali dell'Asia Minore, non possono essere considerate propriamente opere di arte romana, ma sono comunque indicative sia del gusto estetico del periodo sia dell'importanza delle esperienze ellenistiche, le quali, in questo come in molti altri casi, hanno determinato l'ingresso in Roma di iconografie in origine elaborate in un contesto differente. Non si tratta però, su suolo italico, della prima attestazione di personaggi di razza celtica nell'arte di età romana: è infatti databile ad un'epoca alquanto anteriore, vale a dire nella prima metà del II secolo a.C., un fregio in terracotta ritrovato a Civitalba, nelle Marche, e conservato in frammenti[9]. Sicuramente apparteneva ad un piccolo tempio, eretto in ricordo della battaglia di Sentino che, non lontano da lì, aveva visto i Romani sconfiggere una coalizione di Sanniti, Umbri, Etruschi e Galli Senoni, al termine della terza guerra sannitica (295 a.C.). Le scene rappresentate sono di difficile lettura, anche per la non sicura ricomposizione che si può ottenere dai frammenti superstiti, ma sembrano comunque relative al saccheggio del santuario di Delfi, dovuto a una scorreria di Galati nota alle testimonianze letterarie[10]. Lo scopo di questa scelta iconografica era naturalmente quello di fornire un prestigioso parallelo storico alle vicende belliche che avevano segnato la zona un secolo prima.
Nei monumenti pubblici del periodo augusteo, i rapporti instaurati da Roma con le popolazioni sottomesse si precisano meglio nella loro complessità, poiché vi si possono evidenziare diversi aspetti, che riflettono i differenti messaggi di volta in volta affidati alle rappresentazioni artistiche. Innanzi tutto si può prendere in esame un monumento particolarmente grandioso, in buona parte conservato, il Trophée des Alpes, elevato fra il 7 e il 6 a.C. a La Turbie, tra l'odierno Principato di Monaco e Nizza. Si tratta di un gigantesco tumulo, circondato, al di sopra di un parallelepipedo di base, da un alto colonnato che racchiudeva una serie di nicchie con i ritratti marmorei dei generali di Augusto, e coronato da una grande statua dello stesso principe, sulla sommità di un tetto conico a gradoni[11] (fig. 3). Alla base della struttura era murata un'epigrafe[12], che ricordava i quarantaquattro popoli alpini sottomessi da Augusto nelle guerre combattute in questa zona, negli anni 25-14 a.C. L'immagine che si offriva agli occhi non solo degli abitanti del territorio, ma anche dei viaggiatori che percorrevano la strada fra l'Italia e la penisola iberica, la via Iulia Augusta presso la quale il monumento era stato costruito, era certo delle più impressionanti: il colossale ritratto di Augusto, idealmente sostenuto da tutti i suoi ufficiali, sembrava schiacciare sotto di sé persino il ricordo delle popolazioni battute, i cui nomi erano riportati con esattezza nella lunga iscrizione dedicatoria. Manca totalmente qualsiasi rappresentazione dei nemici sconfitti, ma una soluzione così potente come quella qui concepita è sufficiente a imporre da sola tutta la terribile invincibilità del princeps. Forse la presenza di figure di nemici avrebbe potuto introdurre un elemento dialettico, capace di attenuare la dirompente valenza dimostrativa del grande trofeo[13].
A Susa, non lontanissimo dal Trophée des Alpes, troviamo un monumento ufficiale quasi contemporaneo ma molto diverso, che riflette un atteggiamento differente nei confronti di un popolo vinto, l'Arco di Cozio. Si tratta di un arco onorario, elevato da questo personaggio, che aveva regnato sul locale popolo dei Segusii e ora finiva per riconoscere la supremazia di Roma, accettando di continuare a governare la regione non più come re, ma come praefectus civitatum[14], cioè diventando un magistrato di rango equestre. L'arco è decorato da un fregio, importante per la storia del rilievo a soggetto storico in ambito provinciale, che raffigura cerimonie pubbliche celebrate dallo stesso Cozio, vestito con la toga del cittadino, in compagnia di un generale romano[15].
Le due testimonianze appena considerate ci mostrano perciò le due facce della politica augustea verso i popoli sottomessi: da un lato la supremazia inappellabile, affermata nel Trophée des Alpes col suo formidabile valore di monito, dall'altro l'assimilazione dei vinti a Roma, come si vede sull'arco dell'ex re Cozio, che si piega a diventare un cavaliere e a governare in nome della potenza vincitrice. Le rappresentazioni di nemici sottomessi divengono peraltro uno dei topoi dell'arte ufficiale del periodo, come è attestato da un grande numero di esempi di ogni genere, dalle monete che raffigurano Parti inginocchiati, nell'atto di restituire le insegne perdute da Crasso nella battaglia di Carre[16] (fig. 4), ai barbari immortalati nella pietra che decoravano la porticus Cai et Luci, un portico che sorgeva di fronte alla Basilica Emilia nel Foro di Roma[17]. Figure come queste ultime continueranno ad essere impiegate di frequente nei monumenti pubblici, fino all'Arco di Costantino.
In quel medesimo periodo, però, il rapporto con le genti non romane si esplicava anche attraverso un canale molto diverso, che privilegiava i legami ormai saldi degli stranieri col potere centrale, in un'oikoumene unificata dalla Pax Augusta. Di questo differente atteggiamento abbiamo numerose attestazioni, prima di tutto nel campo della letteratura, con le numerose lodi che la poesia augustea tesse della pace universale e della florida prosperità che ad essa consegue, grazie alla supremazia di Roma nel mondo[18], ma anche nuovamente nella documentazione artistica, la cui conoscenza per questo specifico aspetto, peraltro, è per noi più lacunosa e soprattutto più dipendente dalle informazioni che possono essere rintracciate nelle fonti. Sappiamo che Augusto aveva aggiunto un portico al grande complesso realizzato da Pompeo nel Campo Marzio, complesso che comprendeva un teatro, il primo edificio per spettacoli costruito in muratura a Roma (55 a.C.), e ampie aree scoperte, occupate da giardini cinti da portici e decorati da un ricco apparato scultoreo[19]. Si discute sull'interpretazione da dare a questo porticato di età augustea, noto come Porticus ad nationes, al cui interno o nelle cui immediate vicinanze erano collocate quattordici rappresentazioni di etnie straniere, che avrebbero tormentato Nerone in uno dei suoi incubi notturni: secondo il racconto di Svetonio, l'imperatore avrebbe sognato, negli ultimi anni del suo principato, di trovarsi il cammino sbarrato da questi personaggi femminili che lo circondavano, quasi rappresentassero la sua cattiva coscienza verso i territori governati[20].
Una serie di personificazioni doveva essere probabilmente inserita anche nell'apparato decorativo di un altro importante impianto pubblico, il nuovo Foro costruito dallo stesso Augusto accanto a quello realizzato dal padre adottivo Cesare. Le testimonianze archeologiche sono incerte in proposito, ma il ritrovamento di una base iscritta lascia pensare che anche qui le diverse popolazioni dell'impero, se non le province intese come unità amministrative, concorressero a celebrare il buon governo del principe, che aveva riportato la pace nel mondo devastato dalle guerre civili[21].
L'esaltazione dell'impero, inteso come insieme di popoli che in armonia riconoscevano l'autorità romana, è attestata non solo, come è ovvio, nella capitale, ma anche in territori molto lontani, come ad Afrodisia, nella regione microasiatica della Caria. In questa città è stato riportato alla luce un grande complesso pubblico di età giulio-claudia, noto come Sebasteion, costituito da un tempio, dedicato a Venere, al Divo Augusto e alla sua discendenza, e da una grande area scoperta circondata, su ben tre ordini, da portici ornati da bassorilievi nei parapetti degli intercolumni. Non è possibile, qui, presentare una descrizione dettagliata dell'apparato scultoreo che decorava l'impianto, ma vorrei ricordare almeno che, al piano intermedio di uno dei lati lunghi, si sviluppava una serie di personificazioni femminili di ethne, analoghe a quelle già menzionate e giunte a noi solo in parte, identificate per mezzo delle iscrizioni poste sui plinti che le sostenevano. Sul lato opposto vi erano, fra l'altro, rilievi meglio conservati che rappresentavano scene di sottomissione in chiave allegorica, come Augusto dominatore della terra e del mare, Claudio che abbatte la personificazione della Britannia (fig. 5) e Nerone che sconfigge l'Armenia[22].
Questa trasfigurazione "mitologica" delle imprese di conquista degli imperatori giulio-claudi non deve sorprendere, dato che la propaganda ufficiale riprese in diverse occasioni miti greci, piegandoli ai propri fini. Basti pensare alla decorazione della corazza di un torso loricato di un principe sconosciuto, ma comunque giulio-claudio, ritrovata ancora a Susa, la città già nominata per l'arco di Cozio. Secondo uno schema molto utilizzato per le statue degli imperatori in abito militare, che trova il suo antecedente nella celeberrima statua di Augusto di Prima Porta[23], sono effigiati in posizione simmetrica due Arimaspi, intenti ad abbeverare due grifi[24] (fig. 6). Il popolo arimaspico è più volte citato nelle fonti, che lo rappresentano solitamente in lotta con questi animali favolosi, allo scopo di depredarli dell'oro che custodiscono[25]. I due barbari non sono particolarmente caratterizzati e non sembrano neppure monoftalmi, a differenza di come vengono descritti nelle testimonianze letterarie; l'abbigliamento, con berretto frigio e anaxyrides (pantaloni lunghi), li qualifica solo genericamente come "orientali". Non è comunque difficile comprendere la ragione di questa scelta iconografica, che trasporta la politica sul piano del mito: il governo di Augusto e dei suoi immediati successori era riuscito persino a pacificare Arimaspi e grifi, tanto che i primi potevano essere ora rappresentati nell'atto di accudire i secondi.
I barbari non ancora assoggettati all'impero continueranno però ad avere un ruolo tutt'altro che marginale nell'arte ufficiale. Nel corso del II secolo d.C. si assiste, infatti, a un ritorno delle immagini belliche sui monumenti pubblici, con scene di battaglie ed episodi cruenti, che erano state abbandonate in età altoimperiale, quando la committenza aveva preferito tralasciare tali schemi iconografici, sempre di matrice ellenistica, in favore di immagini più serene[26] e di modelli appartenenti ad altri momenti della produzione artistica greca, per ragioni che qui non possiamo approfondire.
La Colonna Traiana a Roma rappresenta, lungo le ventitré spire del lungo fregio figurato che l'avvolge, le due guerre che portarono Roma alla conquista della Dacia[27]. La sequenza di immagini concede ampio spazio al nemico: i barbari daci sono rappresentati non solo nell'atto di combattere con i soldati romani nei tanti episodi di battaglia, ma anche in scene di diverso genere e di notevole effetto, come un suicidio di massa all'interno di un villaggio fortificato cinto d'assedio[28] (fig. 7). A proposito di scene come questa si è parlato, in passato, dell'espressione di un rispetto e di una partecipazione umana al dramma del popolo sconfitto che non troverebbero confronti in tutto il panorama dell'arte greco-romana[29]. Oggi però si tende a non sopravvalutare gli indizi che pure sembrano incoraggiare una lettura di questo tipo, forse un po' troppo modernizzante nel suo applicare a un monumento ufficiale di età romana una sensibilità e un'attenzione per i risvolti sociali delle vicende belliche che il mondo antico non ha certamente mai avuto[30].
Quello che nelle scene istoriate del monumento poteva sembrare ancora un riflesso della paideia greca, ormai assente, invece, nella posteriore Colonna Aureliana, dove i nemici germanici sconfitti saranno presentati solo come vinti schiacciati e umiliati[31], è forse da interpretare meglio come un preciso intento di porre l'avversario sullo stesso piano umano del vincitore, in modo da accrescere la virtus di quest'ultimo. La storiografia fornisce esempi di un simile atteggiamento: nel resoconto di Plutarco, Lucio Emilio Paolo, dopo la vittoria di Pidna nella terza guerra macedonica (168 a.C.), si mostra infastidito dalla scarsa dignità di cui il re Perseo dà prova quando viene condotto al suo cospetto, tanto che finisce per pregarlo di non svilire in quel modo il suo successo personale, perché un tale comportamento poteva far credere che fosse stato battuto un nemico codardo e spaventato[32]. Un monumento di Delfi, in un primo tempo iniziato da Perseo in previsione di una sua vittoria, ma di cui si era appropriato Emilio Paolo dopo Pidna [33], rivela chiaramente come la volontà di raffigurare i nemici sullo stesso piano, alla pari col vincitore da celebrare, trovava anch'essa i suoi precedenti nell'arte greca. Si tratta d'altronde di un'opera che deve a tutti gli effetti essere considerata greca, dato che fu sicuramente eseguita da artisti locali. Il trofeo, sormontato dalla statua equestre del generale romano, aveva la forma di un pilastro, che alla sommità era decorato da un fregio raffigurante episodi della battaglia, dove i Macedoni appaiono rappresentati in maniera praticamente identica ai Romani, da cui si differenziano solo per taluni particolari dell'armamento, ma non per gli atteggiamenti[34].
Questa diversa interpretazione dei rilievi della Colonna Traiana chiarisce come l'apporto della tradizione formale greca, soprattutto nei suoi sviluppi di età ellenistica, emerga ancora in tutta la sua importanza, anche in uno dei monumenti dell'arte romana che sono sempre apparsi più "originali". Ciò implica, inoltre, che la visione che i Romani si erano formati delle popolazioni straniere era largamente debitrice delle concezioni maturate dai Greci, i quali erano convinti della propria superiorità morale, soprattutto in rapporto alle genti d'Oriente[35]. La stessa Weltanschauung dimostrata dalla politica romana, in età imperiale ma anche in precedenza, si rivela influenzata dalle opere di alcuni geografi greci, come Posidonio e Strabone, che avevano lavorato per l'aristocrazia di Roma[36]. Anche la descrizione del mondo che Augusto traccia nelle sue Res gestae è, d'altronde, chiaramente permeata di spirito greco[37]. I rilievi della Colonna mostrano dunque un nemico forte e fiero, a maggior gloria dei suoi conquistatori, ma nello stesso tempo lasciano trasparire le profonde differenze di ordine culturale che dividevano i due popoli: i Daci sono presentati talora nell'atto di compiere azioni che alla sensibilità romana non potevano non apparire impiae, come le decapitazioni dei prigionieri[38], per non parlare di una scena raccapricciante, nella quale un gruppo di donne daciche tortura con torce alcuni Romani catturati[39]. Il fregio figurato non nasconde del resto scene dove anche l'esercito romano si abbassa a commettere atti di analoga crudeltà [40], ma si ha l'impressione, almeno sulla base della maniera in cui gli episodi si susseguono, che tali atrocità siano da interpretare come volute risposte ai misfatti dei Daci[41].
L'atteggiamento di Roma nei confronti del nemico straniero, così come si può riconoscere sui suoi monumenti figurativi, non lascia dunque mai spazio a dubbi. Si riconferma sempre, e non potrebbe essere altrimenti in opere ufficiali dello Stato romano, la supremazia del vincitore sugli avversari, i quali potranno, in alcuni casi, essere riconosciuti valorosi in battaglia, però non saranno mai ritenuti capaci di abbattere la potenza inarrestabile della città tiberina, dato che non appaiono in grado di eguagliarne né l'invincibile virtus né la superiore forza spirituale. Le numerose scene in cui i soldati romani non si mostrano impegnati nei combattimenti, ma nell'allestimento di accampamenti, nella costruzione di ponti o nella conduzione di lavori agricoli[42], si spiegano plausibilmente, infatti, con la precisa volontà di mettere nella dovuta evidenza la loro somma sapienza logistica, contrapposta all'istintualità, all'irriflessione anche, dalle quali i Daci, incapaci di "costruire" per la pace, sembrano spesso trascinati[43].

Video di Andres Marzio Molise

E' poi da notare l'attenzione per il particolare dimostrata in questi rilievi, dove i nemici, e i loro alleati, sono di volta in volta presentati con gli attributi che ne caratterizzano inequivocabilmente l'ethnos, a differenza del fregio del pilastro delfico di Emilio Paolo prima ricordato. I Daci, infatti, combattono con la sica, una spada ricurva dal lungo manico[44], indossano un tipico berretto conico e portano i capelli acconciati con una crocchia sulla tempia destra. Questi dettagli si spiegano sicuramente con il desiderio di non lasciare alcun dubbio circa la natura etnica dei nemici[45]. Altrove, però sempre nell'ambito dell'arte ufficiale, gli avversari sono rappresentati in modo molto meno preciso, secondo un modello sommario di "orientale". Così, ad esempio, nei rilievi che illustrano le campagne mesopotamiche dei Severi sull'Arco di Settimio Severo nel Foro Romano, peraltro di lettura più difficile rispetto alle chiare rappresentazioni della Colonna Traiana, a causa del cattivo stato di conservazione ma anche, indubbiamente, del maggiore affollamento delle scene figurate, che seguono generici schemi di battaglia ancora di derivazione ellenistica[46].
Non erano d'altronde caratterizzate in maniera molto puntuale, dal punto di vista etnico, nemmeno le personificazioni di province che l'arte pubblica aveva continuato a impiegare durante il II secolo d.C., come dimostra un'importante serie di personaggi femminili che appartenevano alla decorazione architettonica dell'Hadrianeum, il tempio che Antonino Pio aveva dedicato, a Roma, al predecessore Adriano divinizzato. In passato si riteneva solitamente che queste figure decorassero i plinti delle colonne interne della cella, inframmezzate a rilievi con trofei di armi negli intercolumni, ma ora sembra abbastanza convincente una diversa interpretazione, secondo la quale esse erano poste in opera all'esterno dell'edificio templare, precisamente nei portici che lo racchiudevano[47] (fig. 8). I personaggi superstiti, come si diceva, non mostrano fra loro profonde diversità, tanto che l'identificazione dei territori simboleggiati è assai controversa, e solo per alcuni di essi può essere abbastanza sicura; in ogni caso, solo gli attributi possono fornire indicazioni, perché qualunque caratterizzazione di tipo strettamente etnico è assente[48]. Del resto non si può nemmeno essere sicuri che siano rappresentate proprio le province, intese come unità amministrative, di cui si componeva l'impero all'epoca di Adriano. Forse si tratta piuttosto delle personificazioni dei diversi ethne che erano compresi nella compagine statuale romana, come le nationes del complesso pompeiano prima ricordato, senza che si debba pensare a uno stretto legame con la divisione provinciale[49]. Qualunque fosse la reale collocazione di queste sculture all'interno del santuario consacrato al Divo Adriano, il valore in esse contenuto è indubbio: il buon governo del principe defunto, alla cui politica Antonino Pio si voleva direttamente richiamare, come dimostrano alcuni atti iniziali del suo regno[50], è causa e nello stesso tempo risultato della floridezza di tutti i territori dell'impero. E' interessante rammentare che anche in età moderna la propaganda dinastica non tralascerà rappresentazioni di questo genere, allo scopo di sottolineare la prosperità, reale o presunta, del paese governato. Così, a puro titolo di esempio, nel soffitto della Sala del Trono al primo piano del Palazzo Reale di Napoli, si possono vedere quattordici figure femminili in stucco dorato, che simboleggiano le province in cui si divideva il Regno delle Due Sicilie e che non possono fare a meno di ricordare, pur nella diversa iconografia, le personificazioni antoniniane[51].
Tornando alle immagini di stranieri, si potrebbero aggiungere altri esempi, come il frequente schema dei prigionieri incatenati, di cui un rilievo di Magonza offre una testimonianza particolarmente impressionante[52] (fig. 9). Ma, nel complesso, non si apporterebbero molti elementi nuovi rispetto a quelli finora messi in luce. Il dato di certo più evidente, che emerge dall'esame di queste rappresentazioni nell'arte romana, è che esse appaiono di norma finalizzate, in un modo o nell'altro, a esaltare la potenza romana, quasi fosse una necessità voluta dal fato. Nemici sconfitti, personificazioni dei territori conquistati, barbari mitologici: queste diverse raffigurazioni concorrono tutte alla glorificazione del vincitore, perché solo per tale scopo, in ultima analisi, sono utilizzate. Perciò è molto difficile trovare illustrati la vita, i costumi, le abitudini dei popoli stranieri; non compaiono mai soggetti che attestino interessi etnografici, quali invece avevano manifestato molti scrittori greci in monografie, o in digressioni all'interno di opere più vaste, appositamente dedicate non solo alla storia, ma anche agli usi di altri popoli. Dove compaiono, nel panorama della produzione artistica di età romana, scorci di umanità delle popolazioni barbare, questi si possono comunque spiegare sempre nell'ottica della conquista, come le genti deportate che, insieme ai loro animali, si incamminano verso un incerto futuro nell'ultima scena della Colonna Traiana[53].
Tutto questo non si deve pensare che avvenga soltanto nel campo dell'arte ufficiale, la quale è per definizione dipendente da canoni contenutistici e rappresentativi che non possono lasciare dubbi negli osservatori. I medesimi temi, infatti, sono reperibili anche nella sfera individuale dei cittadini che abitavano l'orbe romano, quasi fossero stati "privatizzati". Così, a impersonare semplici immagini di lutto, si incontrano frequentemente figure di barbari afflitti, secondo uno schema già presente in alcuni monumenti pubblici provinciali, agli angoli dei sarcofagi decorati a rilievo, sempre più diffusi nel corso del II secolo d.C.; di norma il motivo è in relazione con affollate scene di combattimento che si dipanano sulla fronte della cassa, come nel cosiddetto "sarcofago di Portonaccio", risalente al 190 d.C. circa[54] (fig. 10). Su scala ancora più piccola, schemi iconografici similari si ritrovano, e ciò non può stupire, nella decorazione degli equipaggiamenti dei soldati, come ad esempio una piccola targa in bronzo in origine rivestita di argento, raffigurante un trofeo con armi, ai cui lati si ergono due prigionieri barbari, come nel sarcofago appena citato[55].
Dunque non solo nell'ambito pubblico, ma anche in quello privato possiamo riconoscere lo stesso trattamento per i popoli stranieri, relegati in margine all'humanitas e presenti nell'arte solamente se funzionali all'esaltazione della potenza imperialistica di Roma. Certi monumenti funerari diffusi nelle province (ma bene attestati anche nell'Italia settentrionale), ornati da rilievi con episodi dell'esistenza di tutti i giorni, come scene ambientate all'interno di botteghe o nelle campagne (fig. 11), che anticipano le immagini di mestieri diffuse nel Medio Evo, non devono trarre in inganno. La vita quotidiana qui rappresentata non mostra alcun particolare che la possa differenziare da quella che si doveva condurre nel resto dell'impero, Italia compresa. Anzi, queste raffigurazioni erano scelte, di norma, allo scopo di testimoniare per quali mezzi la cittadinanza romana era stata ottenuta dai proprietari delle tombe, i quali rinunciavano così alla propria identità etnica, di fronte a tutti quelli che osservavano i loro monumenti, per dichiararsi anch'essi parte dell'immenso organismo statuale che aveva inglobato il loro paese.


Note:
[1] L'Arco di Settimio Severo nel Foro di Roma, monumento che sarà citato anche in seguito, era stato dedicato dal Senato e dal popolo romano ob rem publicam restitutam imperiumque propagatum, come attesta l'epigrafe dedicatoria (CIL VI, 1033).
[2] E' ad esempio significativo l'atteggiamento di Sesto Giulio Frontino, che fu curator aquarum, cioè supervisore degli acquedotti, nel 97 d.C., quando scrive che le grandiose opere idrauliche dei Romani erano ben più importanti delle piramidi egiziane e delle opere d'arte dei Greci, celebri ma inutili (De aquae ductu urbis Romae 16).
[3] In generale sull'atteggiamento greco-romano nei confronti delle popolazioni straniere, e sui relativi riflessi nell'arte, sono da tenere presenti: Y.A. Dauge, Le Barbare. Recherches sur la conception romaine de la barbarie et de la civilisation (Collection Latomus 176), Bruxelles 1981; E. Demougeot, L'image officielle du barbare dans l'Empire romain d'Auguste à Théodose, in Ktema. Civilisations de l'Orient, de la Grèce et de Rome antique 9, 1984, pp. 123-143; E. Lévy, Naissance du concept de barbare, ibid., pp. 5-14 (nello stesso numero della rivista sono pubblicati altri lavori interessanti); R.F. Schneider, Bunte Barbaren. Orientalstatuen aus farbigen Marmor in der römischen Repräsentationskunst, Worms 1986 (specifico sulle statue in marmi colorati); J. Ostrowski, Les personnifications des Provinces dans l'Art romain, Varsovie 1990; E. La Rocca, Ferocia barbarica. La rappresentazione dei vinti tra Medio Oriente e Roma, in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts 109, 1994, pp. 1-40; P. Liverani, "Nationes" e "Civitates" nella propaganda imperiale, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung 102, 1995, pp. 219-249 (che analizza molti monumenti); B. Cohen, Not the Classical Ideal. Athens and the Construction of the Other in Greek Art, Leiden-Boston-Köln 2000 (importante per le rappresentazioni di stranieri nell'arte greca, soprattutto pp. 313-479).
[4] Vd. W. Helbig (a cura di), Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom II, Tübingen 19664, pp. 240-242, n. 1436 (H. von Steuben); M. Mattei, Il galata capitolino, in S. Moscati (a cura di), I Celti (Catalogo della Mostra, Venezia 1991), pp. 70-71; E. Polito, I Galati vinti. Il trionfo sui barbari da Pergamo a Roma, Milano 1999, pp. 72-85.
[5] Vd. W. Helbig (a cura di), Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom III, Tübingen 19694, pp. 255-256, n. 2337 (W. Fuchs); B. Palma, L. de Lachenal, I Marmi Ludovisi nel Museo Nazionale Romano, in A. Giuliano (a cura di), Museo Nazionale Romano. Le sculture I, 5, Roma 1983, pp. 146-152, n. 64 (B. Palma); E. Polito, cit., pp. 58-71.
[6] Così come fu formulata in A. Schober, Das Gallierdenkmal Attalos I. in Pergamon, inMitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung 51, 1936, pp. 104-124.
[7] In generale sul donario pergameno, e per altre ipotesi di ricostruzione, vd. F. Coarelli, Il "grande donario" di Attalo I, in I Galli e l'Italia (Catalogo della Mostra, Roma 1978), Roma 1978, pp. 231-255; R. Özgan, Bemerkungen zum Grossen Gallieranathem, in Archäologischer Anzeiger 1981, pp. 489-510; T. Hölscher, Die Geschlagenen und Ausgelieferten in der Kunst des Hellenismus, in Antike Kunst 28, 1985, pp. 120-136, specificamente pp. 120-123; H.-J. Schalles, Untersuchungen zur Kulturpolitik der pergamenischen Herrscher im dritten Jahrhundert vor Christus, in Instanbuler Forschungen 36, 1985, pp. 68-104; E. Polito, cit., pp. 23-43 (con ulteriore bibliografia).
[8] Vd. G. Cipriani, Horti Sallustiani, Roma 19822; P. Grimal, I giardini di Roma antica, Milano 1990 (ediz. orig. Les jardins romains, Paris 19843), pp. 134-136; Lexicon Topographicum Urbis Romae, a cura di E.M. Steinby, vol. III, Roma 1996, s.v. Horti Sallustiani (P. Innocenti, M.C. Leotta); E. Talamo, Gli horti di Sallustio a Porta Collina, in M. Cima, E. La Rocca, Horti Romani (Atti del Convegno, Roma 1995), in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma suppl. 6, 1998, pp. 113-169.
[9] Dopo essere stati esposti al Museo Civico di Bologna, il fregio e il frontone che lo sormontava (raffigurante probabilmente la ierogamia di Dioniso e Arianna) sono stati trasferiti al Museo Nazionale delle Marche di Ancona, dove si trovano tuttora. Vd. M. Zuffa, I frontoni e il fregio di Civitalba nel Museo Civico di Bologna, in Studi in onore di Aristide Calderini e Roberto Paribeni, vol. III, Milano 1957, pp. 267-288; M. Verzár, F.-H. Pairault-Massa, Civitalba, in I Galli e l'Italia, cit., pp. 196-203; M. Landolfi, Il frontone e il fregio di Civitalba, in Marche 1990, pp. 9-13; Id., Le terrecotte architettoniche da Civitalba di Sassoferrato, in Ostraka 3, 1994, pp. 73-91, specificamente pp. 81-83.
[10] Cic., De div. I, 37, 81; Liv. XXXVIII, 48. Cfr. anche Pol. II, 20, 6; 35; IV, 46, 1.
[11] Vd. J. Formigé, Le Trophée des Alpes (La Turbie), Paris 1949; G.-Ch. Picard, Les trophées romains. Contribution à l'histoire de la Religion et de l'Art triomphal de Rome, Paris 1957, pp. 291-301; S. De Maria, Segni, cerimonie e monumenti del potere, in S. Settis (a cura di), Civiltà dei Romani. Il potere e l'esercito, Milano 1991, pp. 123-143, specificamente pp. 137-138.
[12] CIL V, 7817. Ne parla anche Plinio il Vecchio, che riporta il testo dell'iscrizione (Nat. hist. III, 136-137).
[13] Il precedente per questa realizzazione era stato un trofeo, probabilmente di forma analoga, innalzato da Pompeo sui Pirenei dopo la vittoria su Sertorio (72 a.C.). Non si conosce con precisione il luogo dove sorgesse e le uniche notizie a disposizione sono le scarne informazioni di Plinio (Nat. hist. III, 18; VII, 96; XXXVII, 15). Un altro notevolissimo monumento appartenente a questa tipologia, in gran parte sopravvissuto fino ad oggi col suo importante corredo scultoreo, è il trofeo eretto da Traiano ad Adamklissi, nell'attuale Romania, per ricordare una sua vittoria durante le guerre daciche, in un sito che aveva già visto una rovinosa sconfitta romana all'epoca di Domiziano. A differenza dei tumuli di Pompeo e di Augusto, non era sormontato da una statua, ma da un grande trofeo in pietra. Oltre alle opere già citate per La Turbie, vd. almeno F.B. Florescu, Monumentul de la Adamklissi. Tropaeum Traiani, Bucureşti 1961; J. Baradez, Le trophée d'Adamclissi témoin de deux politiques et de deux stratégies, in Apulum 9, 1971, pp. 505-522; L. Bianchi, Adamclisi. Il programma storico e iconografico del trofeo di Traiano, in Scienze dell'antichità 2, 1988, pp. 427-473.
[14] L'iscrizione dedicatoria riporta la lezione praefectus ceivitatium (CIL V, 7231).
[15] Il monumento risale agli anni 9-8 a.C. ed è tuttora conservato in ottimo stato. Vd. B.M. Felletti Maj, Il fregio commemorativo dell'arco di Susa, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti 33, 1960-1961, pp. 129-153; S. De Maria, Apparato figurativo nell'arco onorario di Susa. Revisione critica del problema, in Rivista di Archeologia 1, 1977, pp. 44-52; J. Prieur, Les arcs monumentaux dans les Alpes occidentales. Aoste, Suse, Aix-les-Bains, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.12.1, Berlin 1982, pp. 442-475, specificamente pp. 451-459; L. Mercando, Riflessioni sul linguaggio figurativo, in Ead. (a cura di), Archeologia in Piemonte, II. L'età romana, Torino 1998, pp. 291-358, specificamente pp. 302-309.
[16] Come un denario di Marco Durmio del 19 a.C. Vd. P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Torino 1989 (ediz. orig. Augustus und die Macht der Bilder, München 1987), pp. 198-201. La restituzione delle insegne è ricordata da Augusto nelle Res gestae (29, 2) e da Svetonio (Aug., 21).
[17] Vd. R.F. Schneider, cit., pp. 115-125; Lexicon Topographicum Urbis Romae, a cura di E.M. Steinby, vol. I, Roma 1993, s.v. Basilica Paul(l)i, pp. 183-187 (H. Bauer), specificamente p. 185. I precedenti greci per la soluzione qui adottata sono forse da riconoscere nella controversa porticus Persarum di Sparta e nella "Facciata dei Prigionieri" di Corinto, sulle quali vd. R.F. Schneider, cit., rispettivamente pp. 109-114 e 128-130 (per la seconda occorre citare anche l'importante H. von Hesberg, Zur Datierung der Gefangenefassade in Korinth. Eine wiederverwendete Architektur augusteischer Zeit, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Athenische Abteilung 98, 1983, pp. 215-238).
[18] Cfr. C. Nicolet, L'inventario del mondo. Geografia e politica alle origini dell'impero romano, Roma-Bari 1989 (ediz. orig. L'inventaire du monde. Géographie et politique aux origines de l'Empire romain, 1988), pp. 41 ss.
[19] Vd. in proposito F. Coarelli, Il complesso pompeiano del Campo Marzio e la sua decorazione scultorea, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti 44, 1970-1971, pp. 99-122 (ora in Id., Revixit ars. Arte e ideologia a Roma. Dai modelli ellenistici alla tradizione repubblicana, Roma 1996, pp. 360-381).
[20] Suet., Nero 46, 1. Vd. P. Liverani, cit., pp. 244 ss.
[21] L'unica testimonianza letteraria in proposito è un passo di Velleio Patercolo (II, 39, 2), che parla solo di tituli, fra i quali è sicuramente da porre l'epigrafe rinvenuta. Vd. C. Nicolet, cit., pp. 59-65; P. Liverani, cit., p. 221.
[22] Vd. R.R.R. Smith, The Imperial Reliefs from the Sebasteion at Aphrodisias, in The Journal of Roman Studies 77, 1987, pp. 88-138; Id., Simulacra gentium. The Ethne from the Sebasteion at Aphrodisias, ibid. 78, 1988, pp. 50-77; Id., Myth and allegory in the Sebasteion, in Aphrodisias Papers. Recent work on architecture and sculpture, in Journal of Roman Archaeology suppl. 1, 1990, pp. 89-100; G. Bejor, Il culto imperiale e i suoi monumenti, in S. Settis (a cura di), Civiltà dei Romani. Il rito e la vita privata, Milano 1992, pp. 51-64, specificamente pp. 57-58; P. Liverani, cit., pp. 227-229.
[23] La corazza raffigura un generale romano che riceve le insegne di Crasso dalle mani del re dei Parti. Basti qui citare l'analisi di P. Zanker, cit., pp. 201-205.
[24] Il pezzo era stato reimpiegato, insieme ad un altro torso pure loricato, ma con la raffigurazione del Palladio troiano fra due danzatrici, in un tratto delle tarde mura urbiche, probabilmente non lontano dal luogo nel quale doveva trovarsi il foro cittadino. Per ragioni stilistiche, entrambe le sculture possono essere datate all'età tiberiana. Vd. L. Mercando, cit., pp. 315-316.
[25] Aeschyl., Prometh. 803-806; Herodot. III, 116; IV, 13; Plin., Nat. hist. VII, 10; Pomp. Mela II, 1-2; Aelian., De nat. animal. IV, 27. In generale sull'iconografia del mito vd. Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Supplementum, Zürich-Düsseldorf 1997, pp. 529-534, s.v. Arimaspoi (X. Gorbounova).
[26] Lo stesso Augusto doveva peraltro ammettere che la pace universale era stata ottenuta per mezzo della guerra: cum per totum imperium populi Romani terra marique esset parta victoriis pax (Res gest. 13).
[27] La bibliografia è molto vasta. Mi limito a segnalare alcuni lavori particolarmente importanti: G. Becatti, La colonna coclide istoriata. Problemi storici, iconografici, stilistici, Roma 1960; W. Gauer, Untersuchungen zur Trajanssäule, I. Darstellungsprogramm und künstlerischen Entwurf, Berlin 1977; G. Becatti, La Colonna Traiana, espressione somma del rilievo storico romano, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.12.1, Berlin 1982, pp. 536-578; S. Settis, A. La Regina, G. Agosti, V. Farinella, La Colonna Traiana, Torino 1988 (di cui utilizzo la numerazione delle scene, a sua volta ripresa dalla grande opera di C. Cichorius, Die Reliefs der Trajanssäule, Berlin 1896-1900); F. Coarelli et al., La Colonna Traiana, Roma 1999.
[28] I Daci si procurano la morte per mezzo del veleno somministrato da uno di loro, che lo attinge da un recipiente (scena CXX; vd. S. Settis et al., cit., pp. 485-487, tavv. 227-229). Più avanti è mostrato anche il suicidio del re Decebalo, che si taglia la gola poco prima della sua cattura (scena CXLV; vd. S. Settis et al., cit., pp. 525-526, tavv. 267-268).
[29] Cfr. R. Bianchi Bandinelli, Roma. L'arte romana nel centro del potere, Milano 1969 (con numerose ristampe), pp. 242-249; Id., La Colonna Traiana: documento d'arte e documento politico (o Della libertà dell'artista), in Dall'ellenismo al medioevo, Roma 19802, pp. 123-140, soprattutto pp. 136-137.
[30] Cfr. le osservazioni di E. La Rocca, cit., pp. 3 ss., 22 ss. La tendenza a mostrare il nemico abbattuto dall'inclemenza della sorte, in una maniera atta a suscitare compassione e rispetto, trova comunque significativi precedenti nella storiografia di età ellenistica, rappresentata soprattutto da autori come Duride di Samo e Filarco, con la loro predilezione per le vicende biografiche e la psicologia dei personaggi descritti. Per i riflessi di questo atteggiamento nell'arte figurativa, ibid., pp. 28-29, e T. Hölscher, Il linguaggio dell'arte romana, Torino 1993 (ediz. orig. Römische Bildsprache als semantisches System, Heidelberg 1987), pp. 25-34. Un sentimento analogo è del resto espresso da sculture come i due Galati di Roma, citati all'inizio.
[31] Vd. R. Bianchi Bandinelli, Roma..., cit., pp. 242, 310.
[32] Plut., Aemil. 26, 8-12.
[33] Ibid. 28, 4.
[34] Vd. H. Kähler, Der Fries vom Reiterdenkmal des Aemilius Paullus in Delphi, Berlin 1965; F. Coarelli, La cultura figurativa, in Storia di Roma, II. L'impero mediterraneo, 1. La repubblica imperiale, Torino 1990, pp. 631-670, specificamente pp. 653-654; T. Hölscher, cit., p. 25.
[35] Per un'interessante analisi delle fonti che rievocano le reiterate ostilità fra Greci e orientali, dalla spedizione contro Troia alle guerre persiane e oltre, vd. Gh. Ceauşescu, Un topos de la littérature antique: l'éternelle guerre entre l'Europe et l'Asie, in Latomus 50, 1991, pp. 327-341.
[36] Vd. C. Nicolet, cit., pp. 79 ss.
[37] Aug., Res gest. 25-33. Vd. C. Nicolet, cit., pp. 27-40 e passim.
[38] Scena XXV. Vd. S. Settis et al., cit., p. 290, tav. 32.
[39] Scena XLV. Vd. S. Settis et al., cit., p. 326, tav. 68.
[40] Come dimostrano due teste mozzate e infisse su pali all'entrata di un accampamento romano (scena LVI; vd. S. Settis et al., cit., pp. 342-343, tavv. 84-85).
[41] Per la resa della violenza nelle rappresentazioni artistiche di età romana, vd. il recentissimo P. Zanker, I barbari, l'imperatore e l'arena. Immagini di violenza nell'arte romana, in Id., Un'arte per l'impero. Funzione e intenzione delle immagini nel mondo romano, Milano 2002, pp. 38-62 (ediz. orig. Die Barbaren, der Kaiser und die Arena. Bilder der Gewalt in der römischen Kunst, in R.P. Seiterle, H. Breuninger [a cura di], Kulturen der Gewalt. Ritualisierung und Symbolisierung von Gewalt in der Geschichte, Frankfurt am Main 1998, pp. 53-86). Cfr. anche Id., Le donne e i bambini barbari sui rilievi della Colonna Aureliana, ibid., pp. 63-78 (ediz. orig. Die Frauen und Kinder der Barbaren auf der Markussäule, in J. Scheid, V. Huet [a cura di], La Colonne Aurélienne. Autour de la Colonne Aurélienne. Geste et image sur la Colonne de Marc Aurèle à Rome, Turnhout 2000, pp. 163-174).
[42] Tali scene, coi relativi riferimenti, sono citate in E. La Rocca, cit., p. 31, nota 113.
[43] Benché siano molto più tardi, i famosi versi di Rutilio Namaziano esprimono felicemente la consapevolezza della superiore capacità organizzativa di Roma: Fecisti patriam diversis gentibus unam, | profuit iniustis te dominante capi; | dumque offers victis proprii consortia iuris, | urbem fecisti, quod prius orbis erat (De red. suo I, 63-66).
[44] Le armi sulla Colonna erano perlopiù realizzate in bronzo e inserite nelle mani dei combattenti. Queste appendici metalliche sono tutte perdute.
[45] L'esatta caratterizzazione delle genti vinte ha una lunga tradizione nel mondo antico, a partire dall'arte del vicino Oriente: vd. E. La Rocca, cit., pp. 8 ss.
[46] Vd. R. Brilliant, The Arch of Septimius Severus in the Roman Forum, in Memoirs of the American Academy in Rome 29, 1967; S. De Maria, Gli archi onorari di Roma e dell'Italia romana, Roma 1988, pp. 182-185, 305-307, n. 89; Lexicon Topographicum Urbis Romae, a cura di E.M. Steinby, vol. I, Roma 1993, pp. 103-105, s.v. Arcus: Septimius Severus (Forum) (R. Brilliant).
[47] Rimangono una ventina di figure, cui vanno aggiunte alcune altre, note per via indiretta. Vd. J.M.C. Toynbee, The Hadrianic School. A Chapter in the History of Greek Art, Cambridge 1934, pp. 152-159; M. Cipollone, Le province dell'Hadrianeum. Un tema dell'ideologia imperiale romana, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli studi di Perugia, Studi classici 16, n.s. 2, 1978/1979, pp. 41-47; A.M. Pais, Il "podium" del tempio del Divo Adriano a Piazza di Pietra in Roma, Roma 1979; P. Liverani, cit., pp. 229-233; M. Sapelli, Provinciae fideles. Il fregio del tempio di Adriano in Campo Marzio, Milano 1999.
[48] Sono perciò gli attributi elefantini che permettono di riconoscere genericamente l'Africa in una scultura, proveniente con buone probabilità da questo tempio, che fu reimpiegata in un monumento cinquecentesco a Scipione l'Africano sul Campidoglio, presso il Palazzo Senatorio. Vd. P. Liverani, cit., p. 230, nota 44.
[49] Non va dimenticato l'antico uso di introdurre raffigurazioni delle gentes e delle città sconfitte nei cortei trionfali, secondo la testimonianza delle fonti, le quali possono fare riferimento a riproduzioni probabilmente pittoriche di luoghi reali come Livio (XXXVII, 59; XXXVIII, 43) e Plinio il Vecchio (Nat. hist. V, 36-37), oppure a statue o persone in carne e ossa come Virgilio (VIII, 722-728: è il trionfo di Augusto effigiato sullo scudo di Enea, ma non è escluso che possa esservi un riferimento alle sculture della porticus ad nationes). Cfr. P. Liverani, cit., p. 244 e nota 123.
[50] Si può ricordare, almeno, l'emissione di una serie monetale simile a quella delle province coniata da Adriano. Cfr. M. Cipollone, cit., p. 45, con bibliografia precedente.
[51] Vd. F. De Filippis, Il Palazzo Reale di Napoli, Napoli 1960, p. 67 e figura a p. 49.
[52] Esso, forse di età domizianea, decora una delle facce di un plinto, appartenente a una colonna del praetorium di un grande accampamento lì situato. Vd. E. Demougeot, cit., p. 129 e nota 20; W. Selzer, Römische Steindenkmäler. Mainz in römischer Zeit, Mainz am Rhein 1988, p. 241, n. 263.
[53] Scena CLIV. Vd. S. Settis et al., cit., pp. 543-546, tavv. 285-288.
[54] Vd. B. Andreae, Imitazione ed originalità nei sarcofagi romani, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti 41, 1968-1969, pp. 145-166, specificamente pp. 156-158; A. Giuliano (a cura di), Museo Nazionale Romano. Le sculture I, 8, Roma 1985, pp. 177-188, n. IV, 4 (L. Musso), soprattutto pp. 177-179. Sull'utilizzo dei barbari nella sfera funeraria vd. P. Zanker, Immagini come vincolo: il simbolismo politico augusteo nella sfera privata, in Id., Un'arte per l'impero, cit., pp. 79-91, specificamente pp. 85-86 (ediz. orig. Bilderzwang. Augustan political symbolism in the private sphere, in Image and Mystery in the Roman World [Festschrift J. Toynbee], Gloucester 1988, pp. 1-13).
[55] Proviene da una tomba scoperta nel territorio di Cesena e datata fra la metà del II e gli inizi del III secolo d.C. Vd. M. Marini Calvani, R. Curina, E. Lippolis (a cura di), Aemilia. La cultura romana in Emilia Romagna dal III secolo a.C. all'età costantiniana (Catalogo della Mostra, Bologna 2000), Venezia 2000, p. 500, n. 179 (M.G. Maioli), con bibliografia.


mercoledì 26 ottobre 2016

✒ FATE FONDERE LE NOSTRE BRANDE IL SOLDATO ITALIANO SA DORMIRE PER TERRA!

ECDISI! ECDISI! ECDISI! Temo che in questo post risultero' piu antipatico del solito. O come al solito. Premesso, vero io non "combatto" come (alcuni) di voi. Per un popolo di antifascisti arricchiti non ho lo stimolo di farlo. Ma combatto tutti i giorni della mia vita per me stesso da quando sono nato ci sono tanti modi di combattere non solo attaccando stricioni dando due legnate o mettendo like il combattere e' una impostazione della mente. Quindi non mi si rompa le palle che non sto in Italia (ma qui ci sono piu pericoli) che "me ne sto al caldo" o che "non mi sono fatto il carcere".
Pero' dormo senza materasso. In una casa senza intonaco, senza vasca da bagno e nemmeno la doccia che faccio con secchio e mestolo, a volte mangio riso bianco con pesce e nella mia prima casa asiatica ci trovai un serpente velenoso prontamente ammazzato (era piccolo). La mia casa e' spoglia come una casa giapponese antica, ma in condizioni peggiori, dove vivo in isolamento dagli uomini (intesi come europei). E il punto di tutto questo e' che non ne soffro. Non sto parlando di problemi economici, capitemi, bensi di assenza di vezzi borghesi quali tappeto divano quadrettini bagno schiuma e schermi piatti. Faccio il maestrino? Come voi cari neo-fascisti quando affermate di essere dei combattenti. Ed ora vengo al nocciolo:
IL NEO-FASCISTA DELLA SOCIETA PLUTOCRATICA HA DUE DIFFERENZE IMPORTANTI RISPETTO AL FASCISTA ORIGINARIO DELLA SOCIETA FASCISTA forgiato in uno spirito fascista vivendo con pochi soldi e leggendo da bambino sussidiari che gli insegnavano valori fascisti (http://ablocutioii.blogspot.com/2015/09/quaderni-balilla-quando-sulle-copertine_14.html):
I) Il vivere in una societa' dove le vecchie e amatissime simbologie (saluto romano aquile svastiche o colore nero) sono state tradotte dall'antifascismo come male assoluto.
II) La vita comoda e imborghesita viziata da droghe consumistiche quali quella dove stai leggendo (e non parlate di crisi che persino negli anni '80 l'Italia era piu povera di oggi, il confronto e' con le generazioni del vent'ennio)
Mi si dice che vivo come uno zingaro, che la mia casa e' triste ma camerati la tristezza la portate dentro di voi non puo essere in alcun modo al di fuori. E da parte di padre siamo nobili del Centro Italia da prima dell'anno mille non vedo che cosa ci possano azzeccare gli zingari con me. ECDISI E' IL TERMINE SCIENTIFICO PER DESIGNARE LA "MUTA" NEL MONDO ANIMALE. Il neo-fascista dovrebbe allora abbandonare al suolo come pelle morta due cose:
I) Le sue vecchie simbologie ormai vuote e maltradotte PER RIUSCIRE AD ACCEDERE AD UNA RIVOLUZIONE NELLE COSCIENZE DELLA GENTE manipolate dagli antifascisti (a proposito si avvicina il carnevale predappino speriamo qualcuno vada ad insegnare il rispetto per il Duce a quelle maschere immonde). Quando in troppi sembrano invece sentirsi fascisti solo in nome di quelle e si rifiutano di abbandonarle.
II) Le sue dipendenze dal superfluo borghese PER ACCEDERE AD UNA RIVOLUZIONE PROFONDA DEL SUO STESSO ANIMO. Le rivoluzioni partono prima di tutto da dentro se stessi, e in questo caso mai da un i-Pod. Ma anche qui, ci si rifiuta di "abbandonare" e c'e' poca autarchia negli animi.
IL NEO-FASCISTA DOVREBBE ESSERE SIMILE AL FASCISTA NELLO SPIRITO, MA ESSERNE DIVERSO NELL'ASPETTO. Fa esattamente l'opposto.
Andres Marzio Molise


lunedì 17 ottobre 2016

✒ I comunisti? da mo che erano morti.

Ma Dario Fo era un repubblichino, un comunista, o che so, soltanto un coglione? Basta sentirlo parlare in grammelot per capirlo. E il figliuolo? A me il figlio sembra una donnina di settanta settantacinque anni, sensibile e stupidotta, magrina e piccolina quelle con le calze marroni spesse mezzo centimetro e il cappellino elegante ma incarnata nel corpo di un uomo alto e barbuto con la frangetta da universitario, una di quelle che vanno ogni domenica a portare i fiori sulla tomba del marito all'ombra del quale hanno visssuto una vita ed ora che ci ha lasciati sono annientate, quando vai a casa del figlio di Fo ti offre il te' con i pasticcini in una casa che odora di naftalina. Vi prego osservatelo attentamente in questo video ma fino alla fine...roba che io i funerali pubblici non li ho mai capiti proprio perche e' l'unico momento in cui si vorrebbe stare per i cazzi propri invece di dare spettacolo della propria sofferenza. http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/10/14/dario-fo-la-rabbia-e-la-commozione-del-figlio-jacopo-vaffanculo-mio-padre-non-ha-mai-chinato-la-testa/567534/
Sempre per focalizare e fisare l'idea: di comunista sti malcacati personaggi dell'italietta moderna hanno solo le bandiere con la falce e martello nelle mani. A quelli dei centri sociali i comunisti li metterebbero al confino. Ai comunisti non importava nulla dei profughi, degli zingari, degli omosessuali, dei diritti dell'amore. Non son cose che possano mai avere interessato ai comunisti queste maniaco complusive difese di ogni minoranza sulla terra. Borghesi che fino al secolo scorso arricciavano il naso davanti allo zingaro oggi lo considerano un fratello, infami che ieri sputavano sui profughi italiani oggi si risvegliano con lo spirito dell' 'accoglienza", preti laici da vomitare. Preti laici ma piu acidi e spocchiosi di quelli cristiani. Spesso e volentieri aggressivi e violenti nelle parole e nelle azioni deliranti ma questo non proibisce loro di andare in giro a stabilire chi e' e chi no "fomentatore d'odio" (termine da loro coniato) ne tantomeno udite udite di condannarlo! E chi decide cosa si puo odiare e cosa no? Questi paperini altro non sono che i discendenti piuttosto "imborghesiti" dei partigiani, che pure loro non furono mai comunisti se non nelle loro stesse definizioni di se. I partigiani erano cio che oggi gli americani chiamano in Siria in Libia o in Iraq "i ribelli", loro alleati ieri come oggi. Fo e il degno figlio come la degna moglie che esultarono alla morte di un neofascista, i condannatori dei fomentatori d'odio, discendono dunque da gente che nemmeno allora era comunista. Figuriamoci dunque. E non solo portano avanti sub-culture ipocrite e borghesi che sono del tutto estranee al comunismo, ma persino sui valori dei comunisti questi ci pisciano se e' vero come lo e' che il comunismo si prefigge la lotta al capitalismo, solo per dire una. Sono insignificanti.
Questi animali da salotto con tappeto nella casa di campagna sono i primi spalleggiatori del capitalismo occidentale, sono coloro che discendono dagli alleati degli americani, sono i filo americani del boom economico si sono i "capelloni" tornati nel salotto di papa', sono i servi sciocchi nel caso dei votanti (criminali nel caso dei votati) delle moderne politiche del nuovo schiavismo capitalista, sono quelli che festeggiano la liberazione d'Italia e lo fanno bruciando le bandiere dei liberatori. Sono solo dei pazzi, dei personaggi malati, girotondisti contro Berlusconi che si danno alla macchia una volta nelle mani di Monti. Come tutte le sinistre europee il sintomo di una civilta' marcia e in decadimento c'e' dunque da stupirsi che benedicano anche un decadimento razziale e culturale? O che scendano in piazza a tirar sassi perche "vogliono piu migranti"? Si dicono loro stessi comunisti cosi come i forcaioli di destra o i mascherati di Predappio si dicono fascisti ma di comunista hanno solamente un certo internazionalismo e odio per la loro patria, che poi in realta' l'internazionalismo marxista riguardava la lotta dei lavoratori del mondo uniti contro i padroni e non era certo un: facciamo entrare tutti gli immigrati in Europa per farli lavorare a cottimo dai caporali. Dunque ho detto una cazzata non hanno nemmeno l'internazionalismo comunista ma solo un certo odio per la loro patria. Pero' cantano oh partigiano portami via ai funerali. Che dire? Auguriamoci che vengano accontentati.
Pertanto bisognerebbe ricordarsi sempre che rappresentano il primo nemico d'Italia ma che combattendo loro non si sta combatendo contro dei comunisti, che non e' una lotta tra fascisti e comunisti sono solo loro i primi a raccontare questa fandonia da sempre, ma che si sta combattendo contro una fascia della popolazione inferma e malata, il pus di questi nostri tempi. Non si tratta di anticomunismo lasciatelo dire a Berlusconi "i comunisti" e focalizzate meglio il nemico, che comunista non e' di sicuro. E' dunque viscido e difficile da definire ma di certo sappiamo che e' un nemico subdolo e infame. Dalla loro hanno il numero, ma non hanno intelligenza. Dalla nostra abbiamo il valore, la lucentezza dei valori, la forza degli spiriti, la determinazione delle idee che escono dal cuore e che non poggiano solo su dogmi di maniera. Se l'occidente e' in decadimento noi non ne siamo certo l'espressione, noi apparteniamo al passato e vogliamo appartenere al futuro, e non per "pvogvessismo" bensi per Tradizione.
Andres Mazio Molise\
Leggi anche UNA ZECCA (o homo cannabicus) NON E' UN COMUNISTA, E' UNA PUTREDINE DIVERSA...: http://ablocutioii.blogspot.com/2016/06/una-zecca-o-homo-cannabicus-non-e-un.html

Leggi anche LE CONTRADDIZIONI DELL'ANTIFASCISMO: http://ablocutioii.blogspot.com/2016/10/le-contraddizioni-dellantifascismo.html

martedì 11 ottobre 2016

✒ CONTRADDIZIONI DELL'ANTIFASCISMO

Non diro' nulla che non sappiate gia. Ma mi piace focalizzare. Come sapete l'ANTIFASCISMO in tempi di non fascismo e' qualcosa di pretestuoso utilizzato da certuni che si fanno passare per comunisti (almeno in Italia) ma che comunisti non sono. Pretestuoso per mettere a tacere i diversi, i liberi, i non imbuoniti, i lupi. Dell'antifascismo fa parte la caricaturizzazione del "fascio" brutto, bruto, ignorante e crudele. Pure notoriamente stronzo. Il fascista sarebbe cattivo con i deboli. Ma ad aiutarli invece di stare a farsi le canne sono sempre gruppi neofascisti. Il fascista sarebbe ignorante. Ma a mostrare spaventose lacune storiche, sono sempre gli stessi sottoprodotti borghesi. Il fascista e' omofobo. Ma il Partito Comunista caccia Pasolini e il CHE chiude gli omosessuali in campi separati. Il fascista non e' aperto alle religioni di tutti gli altri "fratelli". Ma a levare i crocifissi o devastare le chiese cattoliche non e' il fascista. Il fascista e' misogino e maschilista. A difendere la sacra insostituibilita' della maternita' femminile, cioe' l'essenza della donna, e' soltanto lui. Per non dire che Edda Ciano mi pare abbia una dignita' femminile maggiore di una Luciana Litizzeto. Il fascista sarebbe capitalista e borghese. E a dipingere i veri combattenti del capitalismo quali furono il Führer e Mussolini come due criminali sono sempre i lorpapponi. Il fascista sarebbe violento. Eppure a distruggere tutto e fare aggressioni (aime') sono solo quelli di sinistra...per poi pulire il coltello sul nemico attraverso i servi pennivendoli: i giuovani dei centri sociali? "INACCETTABILE VIOLENZA FASCISTA!". Il fascistone e' un razzista ma a volere "nobilitare" il negro con la cittadinanza italiana (gettando nel cesso quella sua vera e d'origine) sono sempre gli stessi e a volerlo usare come massa umana da sfruttare chi e'? Marx stesso parlava di "esercito di riserva" (di lavoratori) utilizzato dal capitale. Il fascista sarebbe autoritario ma a voler tappare le bocche e a distruggere simbologie sono ancora loro questi imborghesiti e mal cacati discendenti dei partigiani. Chiunque e' fascista, dai una spinta sull'autobus e diventi un fascista. E pensare che io i fascisti li credevo tutti morti, o quasi. Ne ricordo uno che veniva sempre nella mia vineria aveva novant'anni e mi raccontava sempre di quel giorno che mentre era sull'attenti in riga, all'arrivo di Hitler alla stazione di Roma, gli stava per cadere il fucile proprio sul suo naso e di come "er Duce me diede n'occhiataccia...". Queste continue stereotipizzazioni del fascista da parte degli antifascisti sono quanto di piu strumentalizzabile contro di loro. Ma occorrerebbe chi lo sappia fare.
C'e un nemico? bene dipingilo come il nemico e'! Per quale ragione al mondo dipingerlo in modo diverso? Questo fa nascere dubbi nel cuore.
Aggiungiamo che dipingono come per quello che non sono anche se stessi, che sono sempre i primi a pisciare sui valori da loro concitamente istericamente compulsivamente "sbandierati" e strillati. Ma quali valori possono dunque avere personaggi simili? Dipingono tutto e tutti ma hanno i colori mischiati nella tavolozza, i rossi siamo noi e i neri sono loro se dovessimo seguire le loro false stereotipizzazioni. Pertanto questa gente non merita nessun tipo dialogo ma soltanto lotta, nessun tipo di dialogo. Nessun dialogo mai. Che' non son poche le responsabilita che hanno sul groppone insieme ai nostri amatissimi ed infami politici. Tiriamogli fuori il rosso che tanto dicono di avere dentro. E fino all'ultima goccia.
Andres Marzio Molise

Puoi leggere anche: UNA ZECCA (o homo cannabicus) NON E' UN COMUNISTA, E' UNA PUTREDINE DIVERSA... http://ablocutioii.blogspot.com/2016/06/una-zecca-o-homo-cannabicus-non-e-un.html
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martedì 12 luglio 2016

✒ DIALOGO TRA UN FASCISTA E UN ITALIANO

Scrivo questo dialoghino di getto, finito in 5 minuti. Non arrabbiatevi se chiamo fascista un antifascista....il fatto e' che bisogna prendere per il culo l'italiano....smettiamo allora noi stessi di definirci fascisti, mutiamo ....manteniamo pero i nostri valori. Lasciamo al suolo la pelle morta..ECDISI!!!!..colpiamoli alle spalle soprendiamoli...gli italiani di oggi dormono.. ..............uccidiamoli nel sonno!

Comincio col chiederti perche dai del fascista di merda a qualcuno solo se si esprime contro l'immigrazione di massa di questi anni
FASCISTA - Perche e' un fascista di merda..un razzista! e non voglio che ci sia spazio per il razzismo nella mia societa'
Quindi per te fascismo e' sinonimo di razzismo, cosi come anche xenofobia, e' sinonimo di razzismo. Che cosa esattamente del fascismo ti fa piu schifo, se sai dirmene una.
FASCISTA - Be appunto, le deportazioni razziali per esempio..se permetti non e' una cosa civile ma da infami deportare dei cittadini come me e come te solo perche hanno una religione diversa, non trovi?
Gia ma le deportazioni sono avvenute duante il primo governo antifascista, quando Mussolini era agli arresti. Fino a che Mussolini era al potere non e' stato torto un capello anessun ebreo anzi secondo De Felice fu Mussolini stesso a salvarne parecchi strappandoli ai tedeschi, conosci De Felice?
FASCISTA - De Felice?..chi e' un gerarca? vabbe comunque Mussolini era razzista mo non lo so le deportazioni se le ha fatte lui o Hitler ma Mussolini era una merda e un razzista.
Sul termine "razzismo" ci si dovrebbe chiarire meglio..ognuno gli da differenti significati. In realta in effetti ci sono piu tipi di razzismi: ad esempio julius Evola parlava di un razzismo dello Spirito, per questo si distacco dal razzismo hilteriano che era un razzismo biologico. Per quanto mi concerne do al termine razzismo questo siginificato: il fare delle distinzioni distinzioni tra le razze (e le culture), riconoscere alle diverse razze le loro peculiarita senza appiattirle l'una sull'altra, indi riconscerne anche le loro superiorita in alcune cose ed inferiorita in altre. In alternativa per razzismo si puo intendere il forcaiolismo di destra che discrimina solo per il colore della pelle.
FASCISTA - SUPERIORITA'??? Non esiste superiorita esiste semmai una differenza, ma gli esseri umani sono tutti uguali hai capito caro il mio nazzistello di merda? non e' che non ti piacciono i negri e li metti dentro i forni crematori
La storia dei forni e' tutta da verificare, comunque capisco quello che vuoi dire, come pure e' triste in una guerra il trasformare intere citta in forni crematori. La guerra e' una brutta storia. Ci sono sempre delle differenze hai ragione, se ti dico che un negro corre piu veloce di un bianco i cento metri mi daresti ragione, o se ti dico che gli africani hanno il ritmo nel sangue.
FASCISTA - Be che cel'abbiano e' innegabile...
Vedi. E cosi come sul termine razzismo (inutile qui approfondire questo tema adesso) anche sul termine fascismo o fascista ci sono varie interpretazioni. Per te dunque fascista e' chi? piu esattamente..oltre ad un bastardo razzista?
FASCISTA - Per me un fascista e' uno che e' razzista, un violento, un prepotente, un antidemocratico, cosi..sta gente cosi..tipo quelli di casa pound insomma e non devono avere spazio nella societa quei vermi, devono essere schiacciati
Fascista e' anche uno che picchia le vecchiette, pero oggi il fascismo non c'e, non vivi in un regime fascista. Vivi in una societa demo-plutocratica. Quindi l'antifascismo oggi non e' un po insensato? o forse c'e un senso: perche se tu dai del fascista a chiunque tu ritieni antidemocratico, o prepotente o altro, tu potrai dire costui e' un fascista non ha diritto di esistere e cosi potrai mettere a tacere chi vuoi, pure il vicino di casa che ti chiude il portone in faccia..LEI E' UN FASCISTA! E UN VILANO!
FASCISTA - Mettere a tacere un fascista e' cosa giusta comunque....bisogna stare molto attenti a questi fascisti perche possono esserci dei rigurgiti....specialmente oggi e' pericolosisimo il pericolo fascismo
(questo vede il pericolo fascismo ma non si accorge di quali criminali lo governano) Pero io non vedo i neofascisti di casapound sfondare vetrine, assaltare automobili, tirare sassi, insultare la gente e fare minacce come ad esempio quelle alla supertestimone nel caso del nigeriano ammazzato... quanto invece lo fanno quelli della tua stessa corrente di pensiero. A questo punto se devo attenermi alla tua definizione di "fascismo", i fascisti siete voi e non quelli di casa pound.
FASCISTA - Quelli di casa pound sono delle merde che come Salvini non fanno che fomentare odio, sono dei bastardi
Ma non ti accorgi che avete preso questo Salvini come capro espiatorio? da dopo la morte della strega cattiva Berlusconi i prati non sono rifioriti anzi....siamo nelle mani di criminali ben piu grossi. Eppure voi non girotondate piu, le vostre proteste si sono placate e avete cominciato a gettare merda su sto Salvini. Il quale peraltro non e' un fascista ma un leghista, dunque l'opposto ideologicamente parlando.
FASCISTA - Gettiamo merda? si certo! su una merda! hahaha perche e'un fomentatore di odio razzista del cazzo
E non credi poi che infondendo tutto questo vitimismo e senso persecutorio negli stranieri siate anche voi a fomenntare odio? e anche a fomentare odio in quegli italiani che magari hanno a che fare in modo piu diretto di te con il problema integrazione? bastoni un cane che combatte o l'altro, il risultato sara' sempre "confitto". Sei davvero sicuro sicuro di volere la pace?
FASCISTA - Senti io fomento quello che cazzo mi pare...le merde non devono esistere non c'e spazio per i razzisti in questa societa
Da questo breve dialogo io deduco un paio di cose: che tu non sai cosa sia il fascismo ma che attribuisci a questa parola dei nuovi significati tutti tuoi che tu per primo incarni. Io da questo dialogo capisco che se ci sono fascisti oggi (intesi come voi volete intenderli) siete proprio voi.
(imbrattamenti della sede di casa pound a seguito della morte del nigeriano)
✒ UNA ZECCA (o homo cannabicus) NON E' UN COMUNISTA, E' UNA PUTREDINE DIVERSA: http://ablocutioii.blogspot.com/2016/06/una-zecca-o-homo-cannabicus-non-e-un.html _____________________________________________________________________

mercoledì 6 luglio 2016

DELLE CHIAIE - ROMA 25/26 GIUGNO 2016

ROMA 25/26 GIUGNO 2016 - 56° anno dalla fondazione di AVANGUARDIA NAZIONALE
Parte dell'intervento di Stefano Delle Chiaie. I TEMPI MODERNI NELL'OCCHIO DEI NOSTRI VALORI
"Gli elementi essenziali del fascismo i valori fondamentali del fascismo, che non furono "il fascismo" ma furono ripresi dal fascismo (non totalmente) avevano dietro al fascismo la capacita' di elaborare una visione politica che si adattasse a quel momento storico. Noi nella nostra follia che cosa pensavamo? pensavamo che quegli stessi valori dovevano essere il motore per nuove situazioni politiche nella vita che vivevamo in quel momento. Sentivo parlare prima di "socializzazione", ma quale socializzazione? quella del manifesto di Verona? Non sarebbe assolutamente applicabile in questo momento, perche l'economia e' completamente cambiata, la finanza ha cambiato, quindi "il principio" vale, il principio della partecipazione, ma non l'applicazione alla necessita' di avere nuove menti capaci di elaborare quel progetto politico che contiene il principio (ma) non realizzativo in questo momento. Siamo nel 2016.
Il fascismo ebbe ragione del presente in quel momento perche seppe intuire il futuro. Noi dovremmo fare altrettanto, il nostro mondo doveva fare altrettanto. E quindi, e' questo il problema principale...
Io spesso quando vado in internet, poco...perche sono incapace, leggo frasi che mi ricordanao il 1950, 1953, che sono distanti dalla realta' attuale e non hanno...non incidono. I giovani, che gli diciamo ai giovani? (...) La propaganda e' avvolgere, e' condurre, e' indirizzare, e' combattere per l'obbiettivo. Chiunque di voi se va per internet non trova assolutamente stimoli per il futuro, se non nostalgie del passato. Per esempio: io spesso ai camerati ho detto che vedo su internet sto attacco continuo agli ebrei..ebrei, ebrei, ebrei, ebrei...Io ricordo la mia gioventu', noi vivevamo con gli ebrei sotto al letto, noi andavamo a letto e vedevamo sotto se c'era qualche ebreo nascosto, perche era tale la nostra azione antiebraica che ci portava a questo..non avevamo ragioni, oggi abbiamo ragioni. (...) Non capisco quale sia il motivo di attaccare solo una parte di questo panorama finanziario, la finanza internazionale, che domina questo pianeta, che tenta di dominare completamente il nostro pianeta, e allora perche crearci dei nemici gratis? Perche attaccare una parte e non attaccare il principio, o la filosofia di quel gruppo?"
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giovedì 23 giugno 2016

✒ UNA ZECCA (o homo cannabicus) NON E' UN COMUNISTA, E' UNA PUTREDINE DIVERSA...

... E NON MERITA RISPETTO / BREVISSIMA ANALISI DELLA SINISTRA ITALIANA _____________________________________________________________________
PRIMO CONCETTO: A QUELLI DEI CENTRI SOCIALI, TRE ORECCHINI DU BONGHI E NO SPINELLO, I COMUNISTI LI AVREBBERO MESSI AL MURO. E' assodato.
Secondo concetto i comunisti in Italia li vede solo Berlusconi. Non ci sono comunisti. Forse Rizzo, ma gli altri...e' invece pieno di personaggi definibili "COMUNISTOIDI", dai vendoliani al PD possiamo tutti definirli cosi. Chi sono? cosa sono?
Una DEGENERAZIONE BORGHESE dei partigiani, i quali furono dei pecorecci aspiranti comunisti e che pero fin da subito si strinsero forte agli americani. Da questo rapporto gay, liberismo americano e aspirato comunismo italiano, sono stati malcacati i "comunistoidi", gente priva di dignita' che nelle sue degenerazioni odierne piscia per prima sui suoi stessi valori: democrazia, onesta', "amore", laicita', anticapitalismo, costituzione, tutto dimenticato se c'e da far brodo. E si festeggia la liberazione degli americani bruciandone le bandiere. E si vota PD per poi rinnegarlo. COME RISPETTARE CHI PER PRIMO NON SI RISPETTA? Persino le stesse accezioni negative che attribuiscono al termine "fascista" sono da loro puntualmente incarnate, esempio nella "inaccetabile violenza fascista" che vediamo sempre nelle piazze.
Da subito misero le mani nelle nostre tasche (Dongo), da subito abbracciarono le culture d'oltreoceano (ricordate?...i "capelloni"), arrivando poi ad oggi dove (arricchiti) ne abbracciano persino le idee liberali e se ne mettono al servizio. Oggi, dove si infarciscono di nuove sub culture buoniste o della difesa di qualsiasi minoranza, anche le piu criminose, pur di batter cassa: la difesa del gay, del povero zingaro, del porofugo, sono FLACCIDE MODE BORGHESI (funzionali ai politicanti) di quella stessa categoria di gente che fino a qualche decennio fa i profughi li faceva, e gli sputava anche addosso come successe a quelli di Istria e Dalmazia; la stessa borghesia che fino a poco fa spocchiosa arricciava il naso davanti allo zingaro, oggi lo difende. Amore per i gay, per gli zingari, per i profughi, per le minoranze, fratellanza cosmica universale e antirazzismo bovghese, QUESTE COSE POCO E UN CAZZO CENTRANO CON IL COMUNISMO, e vanno sempre piu a braccetto con il Papa e con gli interessi finanziari.
Gia', ma loro continuano a sbandierare bandiere rosse e falci e martelli, lasciamoglielo fare, di comunista hanno solamente l'odio per la Patria, per la religione, e un antifascismo che in tempi di non fascismo e' grottesco e pretestuoso, un modo per mettere a tecere chi non la pensa come loro: "stia zitto, lei e' un fascista!".
Rispettare queste putredini umane non e' sano, e non e' sano nemmeno contemplarci il dialogo se ci si sente APPARTENENTI AD UNA RAZZA DIVERSA.
Andres Marzio Molise
Leggi anche LE CONTRADDIZIONI DELL'ANTIFASCISMO: http://ablocutioii.blogspot.com/2016/10/le-contraddizioni-dellantifascismo.html
Puoi leggere anche: I comunisti? da mo che erano morti.: http://ablocutioii.blogspot.com/2016/10/i-comunisti-da-mo-che-erano-morti.html
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mercoledì 22 giugno 2016

✒ L' "AMORE" DEI GAY PER NOI

PRIMO CONCETTO: questi del gaypride che vanno in giro con il culo nudo ciucciando lecca lecca a forma di pene e queste lobby gay ultra aggressive che vogliono piegare tutti alle loro rivoluzioni etiche spacciandole per PROGRESSO (ma il progresso nell'etica non esiste, non e' tecnologia l'etica, l'etica e' moda) non vanno visti come omosessuali, ci sono omosessuali (superfluo dirlo) che sono persone degnissime e inteligentissime. Molti sono addirittura "maschi", come alcune lescbiche sono femmine a tutti gli effetti e non comiche imitazioni dell'uomo, perche dove sta scritto che un omosessuale deve essere effemminato come una checca se non nelle loro "particolari" ed eccentriche personalita'? Invece QUESTI INCARNANO LA FRUSTRAZIONE DELL'ESSERE OMOSESSUALE, IN LORO EVIDENTEMENTE MOLTO FORTE, CHE SUPPORTATA DALLE NUOVE SUB CULTURE SINISTROIDI DI MANIERA ESPLODE CON VIOLENZA E AGGRESSIVITA'. E poi sbandierano il concetto di AMORE.
Costantino della Gherardesca, il ciccione ricchione, auguro' la morte pubblicamente a chi non la pensava come lui in materia di coppie gay; Elton Jhon lo squallido parucchino inglese (peraltro gia in fase di divorzio, ora a prenderlo in culo sara' il bambino) invito' a non comprare i prodotti di Dolce e Gabbana perche non la pensavano come lui; stesso boicottaggio avvenne con la Barilla, che si era espressa a favore della famiglia tradizionale; aggressioni fisiche alle famiglie che manifestano a Bologna; chiusura di account facebook per avere scritto "pure froci" nella fattispecie il mio Andres Marzio Molise (tra parentesi un manipolo di pervertiti ha preso di mira la pagina fb di questo blog che e' stata chiusa, solo perche avevo difeso l'attore di cui sto per parlare da una valanga di minacce e offese allucinanti); liste di prescrizione in internet con gli omofobi italiani; raccolta di frasi omofobe a questo link, con grafichina davvero ricca di "amore" alla quale andrebbe aggiunta la mia che campeggia qui sopra:
https://www.facebook.com/comitato.passi/photos/?tab=album&album_id=1786852548214583
INSOMMA LA LOBBY GAY IN NOME DELL' "AMORE" SI DIMOSTRA SEMPRE PIU INFAME ED AGGRESSIVA CON CHI NON LA PENSA COME I GAY-SINISTROIDI ed oggettivamente a non pensarla come loro sarebbe quasi scontato in una societa sana. Ma questa non lo e' di sicuro.
Ultimo episodio che rendo noto e' quello del tale Alberto Mosca, un attore che e' stato messo alla GOGNA, coperto di insulti ed al quale IL TEATRO PICCOLO DI PIETRALATA ha levato il lavoro dico levato il lavoro per questo post:
"Il Gay Pride... Una città in ginocchio... La mia compagna è stata accompagnata da due poliziotti perché non riusciva a passare a piedi... Una vergognosa manifestazione di esibizionismo, volgarità, eccentricità, ubriachezza, droga, lussuria e caos da parte di chi poi dell'essere gay, a mio avviso, non ha alcuna considerazione e rispetto. Per non parlare delle coppie etero che, in pubblico, si portano in giro i figli... Ma quale uguaglianza, quale diritti civili, quali pari opportunità, quali unioni civili... Il napalm ci vuole, altro che carri circensi e culi all'aria per le strade..."
Nessuna ironia dunque e' nemmeno concessa, gogna dunque, offese, intimidazioni, e il Teatro Piccolo di Pietralata gli ha levato lo spettacolo in programma con la seguente motivazione:
"La Direzione Artistica del Teatro Piccolo di Pietralata comunica che l'appuntamento di giovedì 16 giugno, annunciato nel video di Alberto Mosca, NON CI SARÀ. IL Teatro Piccolo di Pietralata SI DISSOCIA DA QUALSIASI PERSIERO E ATTEGGIAMENTO DI RAZZISMO E OMOFOBIA, LONTANI DA QUALSIASI SENTIMENTO DI ODIO E VIOLENZA. CONVINTI DA SEMPRE CHE SOLAMENTE L'AMORE GENERA AMORE!"...capito che amore questi?
Io l'ho detto e lo ripeto...diffidate di chi sbandiera concetti quali "amore" e si fa largo dietro queste bandiere.....non sono cose che si sbandierano queste.
Andres Marzio Molise
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lunedì 29 febbraio 2016

ELOGIO DELLA BESTEMMIA

(email inviata poco fa a mio padre che mi riprendeva per una vignetta sulla madonna, un ateo che non mi ha nemmeno fatto battezzare..mah)
Quando si diverge sulla ricetta della matriciana si puo passare oltre ma se lo si fa sul concetto di "rispetto" e' bene aprirsi e chiarire. Ti spiego come la penso sulla bestemmia anche se la mia comunque era una vignetta ironica non un bestemmione alla Ceccherini, e senza ironia si porta l'nferno sulla terra. La bestemmia aiuta l'uomo a sopportare la vita e sprona dio a far meglio!
Se dio (che non esiste) da un comando, come il non nominarlo, questo e' un comando per i fedeli. Il fedele che si incazza al sentire la bestemmia lo potra fare (sarebbe comunque fuori luogo) con un altro cristiano perche il correligioso viene meno alle regole comuni; ma con un non cristiano diventa una prepotenza. Camuffata da diritto...come i mussulmani che si incazzano se si dicono delle "spiritosaggini" (come le chiami tu) sul loro profeta muhammad o come si chiama lui. Questo che dico e' pensare con la propria testa, certo sperando di non imbattersi in cristiani senza una testa, e se questo avviene non ci si deve piegare alle lagnanze dei cretini in una societa o la si costruirebbe tutta storta e si finirebbe per temere anche gli integralismi di certe merde abramitiche siano esse mussulmane, ebree, ma anche cristiane. Questo, un "fedele" intelligente, lo deve capire...o e' meglio perderlo. Il cristiano che si indispettisce all'udire la bestemmia (ma nel mio caso era solo scritta, e neppure completa) e' come lo scemo che se accendi una sigaretta alla fermata dell'autobus arriccia il naso ci agita la mano davanti e ti guarda male: lui non ne riceve alcun danno, ma ha pero un gran piacere nel romperti le palle. Ah quanto ho imparato in questo senso dai filippini!
Queste ipocrite "sensibilita" religiose d'oggi sono (almeno in occidente) sub culture etiche che nascono come funghi e che ormai camuffate dietro concetti quali "civilta" o "progresso" la fanno da padrone in un popolo di morti, senza veri ideali ne valori certamente comunque in una societa dove di realmente spirituale c'e il nulla. Ma dove sono i cristiani in Italia? prima di proibire la nomina del suo nome dio ha ordinato tutta una serie di cose che nessuno rispetta. Si dice d'essere cristiani per abitudine culturale ma i praticanti sono ben pochi (e come si puo essere vero religioso senza seguire i dettami? e' evidente che se avessi avuto un facebook con il 100% di amcicizie di preti non avrei postato quella vognetta. Ma mi rivolgevo ad un pubblico eterogeneo)
"HA VINTO L'AMORE!", ha detto Renzi l'altro giorno. Io mi districo ormai appena sento parlare di civilta, amore, diritti, pace, liberta, rispetto, progresso eccetera, questi sono tutti valori inflazionati che in molti prendono come stendardo per portare avanti i prorpri comodi. Trucco antichissimo quanto meschino. Oggi si tende a pensare un po a tutti ma questo ha una regia politica e dietro c'e un desiderio di consensi, piu che un reale "progresso" etico della societa, infatti sappiamo che nell'etica non esiste progresso ma solo nella scienza, o se esiste e' pero soggetto anche a retromarcie insomma l'etica e' solo moda culturale. Oggi si pensa alle donne, agli animali domestici, selvatici, e d'allevamento, a ogni forma di minoranza, agli omosessuali (ma Pasolini fu cacciato dal partito dai comunisti) pero stranamente non si pensa ai bambini (che non si organizzano, non riempiono le piazze, e che non votano... ha un bel dire jhon lennon sulla sua felicita raggiunta...attenzione all'egoismo pero che non porta mai felicita). E persino alla sensibilita dei religiosi oggi si pensa..no maiale nelle mense, no presepe, no crocifissi, no battute sul profeta ..(ah no sul profeta si possono fare, e pure di pessimissimo gusto, come i vignettisti parigini o Vauro. Che comunque per me hanno il santo diritto di esmprimersi). Se e' questa una societa laica era piu tollerante la pagana degli antichi romani. Io per me non mi sento di mancare di rispetto o di offendere nessuno se faccio una battuta sulla madonna o sul profeta, e nulla potra cambiare il mio cervello nemmeno se tutti mi dicessero che ho torto. Per una ragione: io so di non volere offendere nessuno, la volgarita e' dunque nel'occhio di chi scoreggia. E inoltre so di avere a che fare con ipocrisie etiche o integralsimi religiosi (dipende da chi attua l'indignazione). La religione di pace (cosi definita) dell'Islam si muove proprio su queste subdole logiche, dove pace sta per: convincere o piegare l'altro ai miei deliri. E questo non va bene. Si deve essere liberi di potere fare una battuta sul loro dio, dei cristiani o degli ebrei, come la si puo fare su Buddha o su la dea Kālī senza che nessuno punti il suo dito aggressivo. Tantoppiu che ripeto all'inferno ci vado io quindi grazie per l'iteressamento ma continuero a fare spiritosaggini su chi mi pare per fortuna e senza sentirmi in difetto. Anche se ho invece rispettato la tua richiesta di levare la vignetta non volendo crearti imbarazzi visto che abbiamo amicizie in comune ed evidentemente ne sentivi l'imbarazzo. Un atto di gentilezza per te, non di rispetto per i cristiani ammesso tu ne abbia tra le tue amicizie. L'amica Vera (nipote della Carla) che e' cristiana aveva condiviso sulla sua pagina il post...vivaddio ci sono cristiani con la testa. Vorra dire che nella prossima vignetta che ironizza sulla verginita mariana scrivero "perbacco", ma converrai che fa meno ridere...cade il senso. Fine dell'elogio della bestemmia.

Adlocutio romana (arco di Costantino)

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