"Si vuole che Catone dimostrasse fin da piccolo, nell'intonazione della voce, nell'espressione del viso, nei giochi infantili, un carattere rigido, poco emotivo e fermo in qualsiasi circostanza. Aspro e sottile verso gli adulatori, si scagliava ancora più veementemente contro chi cercava di intimorirlo. Era anche difficilissimo farlo ridere, di rado apriva il volto a un aperto sorriso. Quando Catone era ancora un ragazzo, i popoli confederati d'Italia cercavano di ottenere anch'essi la cittadinanza romana (la lotta dei popoli italici per ottenere i diritti politici fu lunga ed aspra, culminò nella cosiddetta guerra sociale, anni 90-88 a.C.). A tale scopo un certo Pompedio Sillone, uomo di guerra che godeva della più alta considerazione, essendo amico di Druso fu alloggiato in casa sua per molti giorni durante i quali entrò in confidenza con i ragazzi e disse loro: - Coraggio, chiedete a vostro zio che ci aiuti nella nostra lotta per ottenere i diritti di cittadinanza! - Cepione assentì un sorriso, Catone non rispose e fissò in volto i forestieri con uno sguardo fiero. - E tu, o giovanotto? - gli chiese Pompedio - non dici nulla? non vuoi intercedere per noi stranieri, tuoi ospiti, presso tuo zio come fa tuo fratello? - Catone non aprì bocca, ma col suo silenzio e l'espressione del volto fece capire che respingeva la domanda. Pompedio lo sollevò allora al di sopra del davanzale e finse di lasciarlo cadere; o prometteva di aiutarli, disse, oppure lo avrebbe gettato giù dalla finestra, e intanto faceva la voce grossa e scuoteva più volte nel vuoto il ragazzino. Ma Catone resistette per molto tempo senza dar segni di spavento e di paura. Alla fine Pompedio lo rimise in terra e disse a bassa voce agli amici: - che fortuna per l'Italia che questo ragazzo sia ancora piccolo. Se fosse un uomo temo che non raccoglieremmo un solo voto tra il popolo- ” (Vita di Catone l' uticense, PLUTARCO)
"OH ITALIA, MAI STRANIER TI FU PIO!"
ATTENTI a quegli stranieri che si travestono da italiani rinnegando la Patria (terra dei padri), schifosi, quelli che parlano in dialetto, che dicono di amare la pasta. E che domani saranno sempre di piu. E che domani certamente ottenuti quei diritti che chiedevano oggi giurandosi italiani cominceranno invece a richiedere quelli di "stranieri"...quelli delle loro religioni, dei loro usi tradizionali che si dovranno rispettare si dira' per civilta'. No, questi guardano solo ai loro interessi non certo a quelli nazionali ed in questo si sono molto italiani... i peggiori di tutti.
LO STRANIERO NELL'ARTE ROMANA: http://ablocutioii.blogspot.com/2016/11/lo-straniero-nellarte-romana_52.html
A carmine senise, capo della polizia, badoglio scrive che 'muti è sempre una minaccia: il successo è solo possibile con un meticoloso lavoro di preparazione' e aggiunge 'v. e. mi ha perfettamente compreso'. non è difficile intendere come si legga l'invito a eliminare la medaglia d'oro, il soldato più decorato, già segretario, pur se per breve tempo, del partito fascista. lo sporco affare, il tradimento dell'8 settembre, ha anche questo a premessa. s'inventa un complotto contro il sovrano, il nuovo governo, complici fascisti e tedeschi. saranno i carabinieri a eseguire l'ordine nella pineta di fregene con il classico colpo alla nuca... la 'nuova' italia genera mostri. la vicenda muti avrà i suoi imitatori negli anni tragici del terrorismo. giancarlo esposti docet. non sarà il solo. e nulla conta se muti era estraneo ad ogni - di fatto inesistente - complotto, anzi oramai da soldato era fuori dalla politica...
Non essendo io un un filosofo ne neppure un dotto con la mia terza media strappata in quattro anni, esprimero' qui la cosa in modo semplice e priva di stile.
COLTIVARE LA LIBERTA' DI PENSIERO
Mi sono sempre reso conto di "pensare" in modo diverso dalla maggioranza (spesso peggio spesso meglio) e devo questa cosa ad una certa dose di liberta' di pensiero. La quale devo forse al mio essere cresciuto senza famiglia e senza guide ne formazioni educativo culturali da parte di chicchessia, se non forse certe letture antiche quali stoicismo o cinismo che pure sono forme di essenzialismo. La liberta' del pensiero va coltivata e lo si fa credendo sempre in cio che si pensa rischiando sistematicamente la presunzione, rischiando l'errore, ed errore su errore si va a sviluppare un certo "istinto" per la verita', o comunque per la "tua" verita' che avra' comunque piu' probabilita' di essere piu vera di quella di un pecorone (non staremo qui ora a fare dei sofisimi sulla relativita' della verita', parliamo allora di capacita' di analisi, quindi di una delle numerosissime forme di intelligenza; la liberta' mentale e' una forma di intelligenza). A quel punto credi ciecamente in cio che pensi e dici, e lo sostieni con veemenza. Senza il coraggio della presunzione niente liberta' della mente tantopiu' che questo esercizio non si puo improvvisare ma deve essere una forma mentale che perdura nel tempo. Si sara' cosi via via sempre meno presuntuosi e sempre piu fedeli a se stessi, se si hanno le doti giuste si potra' essere lupi e non pecore. Succede di essere provocatori quando si dice cio che si pensa cercando di scardinare le sbarre culturali della gente ma non per la provocazione fine a se stessa del bastian contrario, solo per disprezzo del cattivo gusto e del conformismo.
Una precisazione va fatta: prestar fede ad ogni cosa che esce dalla bocca di gruppi di uomini, credere nelle scie chimiche o che l'uomo non sia mai stato sulla luna o ad alcune medicine "alternative" o a mille altre cose che "si dice", non e' pensare con il proprio cervello ma con quello di qualcun'altro si dimostra d'essere condizionabili e poco liberi. Infatti resta sempre valido il detto: "La gente si sveglia la mattina e si mette subito alla ricerca di qualcuno che la prenda per il culo" (Wanna Marchi)
ESSENZIALISMO CULTURALE
UNA MENTE PREBIOTICA CONTRO LA DISBIOSI MENTALE
La cultura (intesa come bagaglio di modi di "essere" collettivo) e' l'espressione dell'anima di un popolo e stando a quanto dice Nietzsche esistono tre categorie di popoli: gli europei, i barbari, e i barbari inciviliti. Questo non e' solo riferibile ai livelli di progresso ma anche alle anime collettive. Vivo nelle Filippine ho vissuto in Peru a lungo e posso garantire che queste genti hanno delle potenzialita' di intelligenza e spirito non paragonabili a quelle che un europeo potenzialemente puo sviluppare (solo potenzialmente). Questo nostro meraviglioso bagaglio interiore europeo formatosi sul nostro passato fa sostanzialmente parte della "cultura", dello spirito.
Ma un intestino pieno di fermenti puo anche riempirsi di batteri nocivi. I popoli del Sud Est Asiatico o di altri paesi non occidentali presentano una semplicita' dell'animo, una disarmante "basicita'" dell'essere che ne fa degli untermenschen ma che al contempo non consente in loro lo svilupparsi di pippe borghesi che tanto imbrigliano l'Animale, e ne di sub culture varie. Ce lo ricorda per esempio Duterte quando se ne ride dei nostri "divitti umani", i quali per certi versi sono HIV delle societa' borghesi che distruggono le difese immunitarie sociali.Ecco allora che il concetto di "sottouomo" (untermensch) puo intendersi non solo come l'uomo inferiore ma come il suo mondo piu profondo e piu animale, lontano dalle contaminazioni culturali le quali quando troppo raffinate possono essere soggette a putrefazione. Ed e' in quel sottouomo che e' l'uomo sano!
La cultura (intesa come tutto cio che apprendiamo per emulazione dalla societa', come vestire, come comportarsi, come...pensare) e' cio' che vi programma: se domani la societa' vi dicesse di fregarvene di tutto e tutti in primis dei poveri, dei diseredati, degli ultimi, voi lo fareste perche in fondo quegli egoisimi li avete gia dentro, dipende da cosa si va a sviluppare. Percio occhio a come venite "programmati", l'occidente decaduto e' diventato un intestino disbiotico pieno di putredini che affettano l'intero corpo sociale. Nuove false cristianita' laiche, ad esempio, stanno cancrenizzando in Europa e in America.
Amo cercare l'uomo nella sua profondita', come faceva Caravaggio nella pittura, come faceva Pirandello nella drammaturgia, quindi scavare sotto le costruzioni culturali, sollevare quei lenzuoli multicolore, per entrare in quelle buie grotte sotterranee dell'animo umano dove tutto sempre nei secoli resta immutato, dove risiede il fuoco, ed osservare l'essere umano nudo. Le culture, anche quelle etiche, sono abiti cangianti nei tempi che l'uomo indossa, ma sotto, li sotto l'Animale resta sempre se stesso infatti non credo nel "progressismo" etico perche l'etica, le morali, non sono come la tecnologia e non viaggiano su linea ascensionale appartengono al nostro "essere esteriore" seguono dunque mode di maniera ma non ci migliorano "in assoluto" e non ci cambiano in profondita'. Settant'anni fa gli italiani erano tutti fermamente razzisti, oggi sono tutti istericamente antirazzisti non per progresso ma solo per moda culturale. I romani antichi non erano piu cattivi di noi se si divertivano negli anfiteatri, ma non erano cristiani.
Gli antichi avevano compreso come “pulire l’intestino” voglia dire liberare il cervello dalle tossine e rinforzare il sistema immunitario. Seguendo una metafora intestinale dobbiamo essere come dei "prebiotici" ossia dobbiamo fare crescere in noi i quei "probiotici" rappresentati dalla microflora sana del nostro essere culturale, ripopolare l'animo di quegli aspetti umani come l'amore per il bello, per la cultura, per il sapere, per la filosofia, e come il valore, la fedelta', il coraggio, la forza interiore, la spiritualita', la Tradizione, estranei alle popolazioni a noi inferiori. Ed al contempo essere antibiotici per quei batteri patogeni rappresentati dalle subculture moderne, da quei modi di essere e pensare riconducibili ad una certa borghesia dominanti comuni nella tartuferia italiana odierna perche ogni "essere" o "pensare" borghese e' cibo spazzatura che genera muco interno e putrefazione. Andare oltre anche a molti buonismi che ci affliggono quali per dirne solo uno gli animalismi alla Adolf Hitler, per cio che riguarda una certa area politica, o gli istinti maniaco compulsivi pro minoranze, per l'altra. Falsita' "culturali" che, davvero, non appartengono all'animo umano piu di tanto, non in questa misura. E noi dobbiamo invece tirare fuori il fuoco dal nostro animo, che si trova in profondita', sotto queste coperte di ipocrisia. Spolpare la carcassa borghese che ci rende schiavi e giungere al cuore dell'uomo fino a ridiventare animali.
E questa sua forma mentale basica, ma non meno nobile, privata di ogni fronzolo culturale, cinica, assai poco romantica e sentimentale, disincantata in ogni cosa, si ripecchia inveitabilmente anche nelle cose materiali nella vita dell' essenzialista culturale che sara' sempre autartico quanto piu possibile, poco desideroso delle comodita' da tutti ambite, in grado di rinunciarvi senza sforzo, e poco incline a necessita' superflue quali quelle con le quali la societa' plutocratica e' solita drogare i popoli.
E un vero spirito selvatico e libero lo sara' a tal punto da saper persino educarsi alla solitudine, andare oltre a tutte le esigenze culturali indotte dalla societa' come l' amore romantico alla francese. Esattamente l'opposto di cio che fanno molti omosessuali moderni inseguendo il "capriccio culturale" del volere esser mogli ai fini della loro realizzazione di uomini-donna. Ambiscono follemente ad una proiezione e battagliano per questa, quella della figura di moglie, dmostrando tutti i loro vincoli culturali dai quali derivano le loro frustrazioni che "manifestano" poi nelle piazze con la complicita' di politici altrettanto infetti
W LA PAZZA GIOIA DI ESSERE ANIMALI! Quali siamo in effetti, animali...Diogene di Sinope viveva come un cane in una botte, fu il primo cinico (kynismós ‘imitazione del cane’). Rifuggiva i vezzi materiali borghesi, noi si deve fuggire anche quelli culturali e mentali che rischiano di essere delle gabbie.
W LA PAZZA GIOIA DI ESSERE ANIMALI!e di lasciarsi trasportare dall'istinto come dalle correnti di un fiume sotterraneo, riconoscere a noi stessi tutte le cose che altrimenti sarebbero impossibili da riconoscere per tabu e per paura del nostro stesso giudizio. L'omicidio? Mai praticato per timor di legge (sacrosanta difesa della societa') ma in se, trovo che possa essere una esperienza formativa dello spirito di un essere umano, fa parte della vita e della nostra Natura, certamente se ben vissuto puo rappresentare una tappa del nostro percorso di maturazione. Era un esempio, molte altre cose simili inizierai a pensare e credere se ti divincoli dai lacci culturali che ti legano. In questo consiste cio' che definirei "essenzialismo culturale": prendere cio' che di buono c'e' dalle nostre costruzioni mentali e lasciare agli ottusi le sbarre, le scorie che derivano da questa nostra "raffinatezza" dell'animo. Gli zuccheri raffinati sono cio' che di peggio possa esserci per il nostro intestino, centro vitale del nostro organismo.
AndresMarzioMolise
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Lasciati dire una cosa. C'hai due papi, mai successo nella storia. Uno s'e' licenziato l'altro e' popper Francesco, se lo sniffa prima di salire sugli aerei. Vivi in mezzo a negri che chiamano italiani. E in mezzo a bianchi che a chiamarli italiani fa ridere, tartuferie borghesi che ti odiano a te e al tuo paese, pappa e ciccia con americani ebrei preti e negri di cui sopra. Dio patria e famiglia che sarebbero cose serie da millenni oggi sono concetti abbattuti e derisi dalla gente, sostituiti da: niente. Le plutocrazie se la comannano, de prepotenza. Mussolini pare che fu uno schifoso tiranno che odiava il popolo e Bracco Obama invece e' un brav'omo e ci vuol bene, alcune lo definiscono bello, altre persino "figo" (Mirta Merlino una zecca in tv) eeehh! Io se fossi una donna mi sembrerebbe poco piu di una cacata di scimmia. Ce n'e un altro di bello e figo canta un rap inascoltabile da ucciderlo di legnate solo per la musica, che nei testi dice di scopare figa bianga, i suoi concerti sono pieni e pieni di bianchi perche i negri di musica qualcosa ci capiscono, soldi a un cojone cosi i negri non ne danno. Va anche ospite alla rai. Gli italiani hanno questa caratteristica tipica dei mediocri, li ami e ti appendono a testa in giu li prendi per il culo e ti glorificano. Migliaia di clandestini sbarcano settimanalmente sulle coste accolti con allori, passano dai torturatori libici a una popolazione di laidi preti laici pregni di sentimenti di accoglienza, senza sapere manco chi si accoglie come farebbe una puttana bendata sul marciapiede. Dai libici a sti stronzi/e in poche ore, devono pensare che la vita e' veramente strana. Mentre qualcuno metteva in discussione i vantaggi che l'Europa possa avere tratto in questi secoli dal cristianesimo nuove forme di cristianita' borghesi appestano le menti, se ne sentiva proprio l'esigenza, e cosi ora la formula e'
"VENGHINO SIORI VENGHINO! MOLTE BRACCIA ZERO LAVORO CHI SI OFFRE A MENO?"
Ma se non rubano il lavoro agli italiani....ma allora che cazzo so venuti a fare? Parlare di unita' d'Italia oggi sarebbe come sentire il suono di una digestio mortis, infatti non se ne parla nemmeno di parlarne. Pensa se quelli che hanno combatutto per l'Italia, se avessero saputo che oggi sarebbe diventata cosi. Le patrie non esistono piu si e' cittadini del mondo! NO AI MURI! Tranne per me che devo rinnovare e pagare ogni due mesi il visto o vattenaffanculo senza tanti complimenti. Io sono straniero ovunque, in Italia e' italiano chiunque. Resto qui. Se sono italiani quelli, bianchi o neri, allora non voglio esserlo io. Il cattivo gusto d'esser "buoni". Sta rammollendo gli animi e negli animi molli ci crescono i vermi, cosi dicevano i romani. Persino il papa che tradizionalmente, storicamente, e' un pezzo di merda oggi e' cosi buono che fa schifo. Popper Francesco "Se fai qualcosa alla mia mamma, ma io ti do un pugno!", eeeh li s'era imbestialito e' bravo e buono tanto na cara persona ma nun je tocca' mamma. Ci si preoccupa del benessere delle galline e delle pecore, ad alcuni stanno a cuore persino le uova pero non so se solo il tuorlo, o pure l'albume. Sono sensibili e buoni e se non sei come loro sei un gran pezzo di merda te potesse veni' no sbocco de sangue a te e tutti i cacciatori assassini e ai mangiatori di cadaveri, il torero incornato mortalmente al fegato ah quella si e' una corrida degna di appplausi! Co buoni cosi non servono i cattivi. Roma e' piena di kebabbari tutti unti, ma non di olio c'hanno proprio la pelle unta di loro io me li studiavo sugli autobus mentre regolarmente si approcciavano a qualche signora tutti ingrifati, le si avvicinavano con l'aria indifferente e quei colli un po rugosini, marroncini e unti, con l'occhio mandrillo. Intorno a Termini hanno affittato i locali delle trattorie che hanno chiuso, na puzza assurda dappertutto, cocci di vetro, scatarri sui marciapiedi e sui marciapiedi domande tipo: "Ti serve qualcosa amico?" Mi serve che tu e la tua famiglia moriate di una morte lenta e dolorosa. Stanno pure in tutte le pizzerie italiane, che a vede' quelle manine maroncine che schiacciano la pizza te vie' subito voglia de olive all'ascolana. No ma so puliti... Ai bambini hanno levato la figura della madre, per andare incontro ai diritti dell'amore degli omosessuali, se si puo scrivere "omosessuali" senza offendere nessuno che poi sarebbero i froci. Oggi si offendono tutti. Come Marino, la lesbica ex sindaco di Roma che propose "camminanti" in luogo del vecchio e caro a tutti "zingari de merda". Ma ce lo sapevi tu che i buchi del culo si innamorano? E pretendono rispetto perdio! E diritti! Io il bambolotto che tanto desiderano per loro capricci culturali non e' che non glielo darei perche un genitore non puo essere frocio, ma perche e' profondamente immorale dare un figlio a un genitore che parte gia con simili presupposti di egoisimo. E poi, levaje la maternita' alla donna e che je resta? Le hanno svuotate de tutto silicone a parte, sono solo paradisi a tre entrate non sanno piu amare un uomo ne cucinare un pollo, so pure un po stronze. Se la tirano e si acconciano che sembrano strappone pero' non te la danno perche cosi fa una donna con le palle, ma Dio l'ha data al mondo! perdio la fica e' di tutti! Cosi finisce che alcuni preferiscono i trans, tanto che cambia? Meglio un uomo con le tette di una donna con le palle se la donna con le palle non te la da. Altri se le sposano poi finisce che dormono in macchina senza manco che gli lascino piu vedere i figli. NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE! E perche sull'uomo si? Ste stronze. Se poi sono come Marino che conia termini come camminanti allora io sono per la violenza. Ma mica li va a disturba' i Casamonica, i Casamonica non li tocca nessuno. Io non so se siano camminanti li vedevo molto sulle Ferrari o sulle Smart, cio' che so e' che so bevitori perche gli lavoravo sotto casa. Sono l'unico in tutta Roma che li inculava:
"AO A BELLU CHE CE L'HAI QUE LU VINO DOLCE...COME SU CHIAMA...'U FRACULINO!"
e giu a vendeje vino di Olevano di pessima qualita'al prezzo del fragolino. Una me la volevo scopare, Maria Antonietta, quant'era bona culo che esplodeva stretto nella lunga gonna di jeans fino alle caviglie, capelli lunghi nerissimi e una faccia che sembrava fatta da Caravaggio...quando si tracannava il bicchiere tutto d'un fiato e poi mi fissava leccandosi le labbra sporche di vino rosso e l'espressione soddisfatta e sorridente di una bambina mezza ubriaca, me la volevo scopare pure se era na zingara. Poi so spuntati madre padre fratello e cugino, gli ultimi due pugili, e non se ne e' piu fatto niente ma io sono sicuro che i camminanti hanno tra loro delle brave pompinanti e ci sono andato vicino di un soffio per scoprirlo non dico balle. Alla fine di questa triste storia ho pure chiuso, con Equitalia che mi insegue ancora e faccende burocratiche mai chiuse per impossibilita' tecniche inimmaginabili per chi non vive a Roma. Le attivita' degli italiani sono strozzate da tasse e burocrazia ma nelle strade ci sono i suk incontrastati che si allargano a macchia d'olio. Scappano i negretti per non essere acchiappati, ti chiamano "amigo" hanno l'aria molto friendship poi se inciampano e crepano si incazzano ed e' colpa tua, perche sei "razzista". Come i pakistani che sorridono vendendo l'ombrellino di carta poi se je tocchi il centro di preghiera alzano un casino che levati. Scappano i negretti, con la merce sotto braccio, mentre un coglione in divisa accenna una corsetta su se stesso alla Albertone davanti agli occhi divertiti dei turisti. A saperla leggere, quanta cattiveria dietro quei sorrisi. Scappano i negretti e sorridono, sorridono correndo, ma si ma che je frega. Gli italiani invece si suicidano. A che servono i vigili? I vigili a Roma fanno i coatti, fanno i mafiosi e fanno i duri ma poi strigni strigni so molli come la merda e non servono a niente. Io ne ho buttato fuori dal negozio uno, pe la giacca, erano in quattro e gli altri stavano fermi poi non si sono piu visti dopo quella sera. A 16 anni ne menai uno, 5 mesi con l'avvocato d'ufficio. Mi chiedevano il pizzo per questo lo trascinai fuori dal negozio, ma al marocchino con la frutta manco lo vedevano. E comunque attenti ai marocchini con la frutta. I tempi sono cambiati i turchi oggi vi ammazano a casa vostra a cadenza mensile, e' una specie di usanza. Ogni tanto ne sbrocca uno, magari accoltella un militare alla gola ma non gli fanno niente resta vivo a raccontarci che "era un po arrabbiato". E chissa che non lo inviti la leccafiche della tv quella che va in onda con la caramella all'angolo della bocca e t'ho detto tutto, dice "c'ho la evve moscia", comincia co lo sputa' quella caramella li mortaci tua che stai in televisione! Ma alla gente piace. La gente la guarda da trent'anni e continua a votare la solita cricca di criminali da trent'anni che non so pochi trent'anni ma volano e tra poco so sessanta. Ma la gente e'idiota. C'ha le scie chimiche nel cervello. La sinistra ha perso il contatto con il popolo, noi con un popolo di antifascisti non ci abbiamo mai saputo parlare. Emma Bonino e' resuscitata, ormai nun more piu. Ogni volta mi ricordo che era morta poi me ricompare davanti co 'na specie de turbante. Deve essere li sotto il segreto forse se gli si sparasse in testa, come gli zomebies. E io non saro' felice fino a quando non leggero' di un albanese o un bengalese che s'e' ammazzato per Equitalia visto che dicono che sono italiani pure loro, o no? Senno pare come che so italiani solo quanno je pare a loro. Per "loro" poi non intendo loro loro, ai quali di essere italiano non frega nulla, ma loro che ne cercano i voti. Camionate di voti. Valanghe di voti. Quanto mi fanno schifo i bangladini, solo a vederli, luride blatte. Come concetto trovo giusto insultarli pesantemente per la strada anche per futili motivi. Una sera ne ho inseguito uno e gli ho sequestrato la merce; compiuto il mio diritto e dovere di cittadino mi sono trovato Santa Maria in Trastevere che mi voleva linciare chiamandomi merda razzista, ma mi sono preso una bella soddisfazione. Se si andasse in giro a spruzzargli addosso del Baygon si sarebbe in parte risolto il problema di sti stronzi mussulmani che ti vendono palline lucine e freccettine inutili per la strada, ma purtroppo questo non si puo fare sarebbe politicamente scorretto. Vi accoppano regolarmente nelle vostre abitazioni o attivita' ma difendese e' proibito perche la vita e' un dono inalienabile, li mortacci sua. Anche la tua fino a che non te la aliena qualche stronzo, e' un attimo. I cervelli si sono facebookizzati si fanno il selfie pure sulla tazza del cesso cosi ti trovi sul telefono la merda di qualcuno perche lui ha deciso che era spassoso, o 'na zinna de una e giu likes come se sborasse, o un piede, o je' morta mamma. I likes falsi sono come le ciliegie uno tira l'altro non so chi sei ma ti sono vicino nel dolore, se lo fanno tutti. Si onora, nella speranza di esistere. E di essere onorati. Stando su facebook si percepisce bene come l'Italia sia piena di gente con le palle, rispettosa delle cose piu sacre, e come sia un paese che sta per esplodere. Oggi fa dieci anni esatti che sta per esplodere. Io scrivo di getto ma che c'ho piu da dire? Come lo concludo sto delirio? Ho la febbre da quattro giorni forse la dengue c'ho le chiazze sulle braccia ma sto bene. Credevo di vivere nel migliore dei mondi possibili, quando sono arrivato nel terzo mondo ho capito che prima stavo nel decimo. Tu, sei nel decimo. Ieri sera ho visto "Il sangue dei vinti", coraggioso film italiano, e ho compreso meglio quanto moltissima troppa parte di quel popolo mi faccia schifo. Solo tu che leggi, camerata, io sento come un frater perche siamo sul dorso della stessa tigre.
Andres Marzio Molise
(omaggio a Svart Jugend)
Come e' possibile che nessuno sappia scardinare le coscienze di quel popolo di idioti? Mi riferisco ai due dei punti chiave del problema immigrazione, taciuti da tutti o non sufficentemente indicati agli stupidi votanti per mezzo di volantini, comizi, televisioni eccetera. Lasciati dire che le palle sono nel cervello.
PUNTO I) PORRE LA DOMANDA: COME MAI PRIMA DEL 1989 CROLLO DEL MURO DI BERLINO NON C'ERA NESSUNA EMERGENZA IMMIGRAZIONE? SULL'ETICITA' DELL'IMMIGRAZIONE. Si dice che l'immigrazione serve all'economia ma questa verita' innegabile viene costantemente mescolata e messa in ombra dall'utilizzo pretestuoso e strumentale del concetto di PIETAS, un concetto bizzarro per dei poteri politici ma per la verita' utilizzato in tutti i tempi a sostegno di guerre ed altre forme di sfruttamento: si porta la liberta' ad un popolo prendendone possesso con le armi, questo lo si racconta fin dall'epoca romana.
Si dice che l'immigrazione serve all'economia ma non lo si dice abbastanza e lo si metterebbe tanto piu in luce ricordando che anche nei decenni passati esistevano il terzo mondo le guerre e la fame eppure nessun gommone sfidava i flutti crudeli, nemmeno uno. Come mai? Non se ne parla mai. Viene da pensare che nell'indifferenza mediatica venissero respinti e dunque che non ne partissero nemmeno. Il crollo del muro ha generato scompensi economici tali da esigere quell'ESERCITO DI RISERVA (cosi definito da Marx nel Capitale): una massa di uomini giovani a spasso. Molte braccia poco lavoro chi si offre a meno? E' evidente come questo dia un potere eccezionale al padronato, come generi una guerra tra poveri tutta a favore dei poteri finanziari, e come il creare questo sistema a scapito degli italiani "piu deboli" ma in generale di tutti i lavoratori sia molto poco "di sinistra". Ecco che improvvisamente la cultura di regime diviene commiserevole, buona, sensibile, trasformando tutti i cittadini in madri Teresa di Calcutta, e tutti gli altri son dei pezzi di merda! Dunque porre questa domanda agli italiani (perche solo adesso questa emergenza migranti?) ne trascinerebbe con se automaticamente una seconda: QUANTO PUO ESSERE ETICO FARE INVADERE L'EUROPA, SENZA CON QUESTO AIUTARE MINIMAMENTE IL TERZO MONDO (ANZI AFFOSSANDOLO DI PIU) E CON TUTTI I PROBLEMI CHE NE DERIVANO (CONFLITTI SOCIALI E RELIGIOSI,CRIMINALITA,DISGREGAZIONE NAZIONALE), SOLO PER RAGIONI ECONOMICHE?
Quando faccio questa domanda ai nuovi ripugnanti preti laici sempre spocchiosi, in fregola per salvare qualche vita umana e offrire un futuro migliore a qualsiasi mucillagine arrivi sulle nostre coste, credetemi non sanno mai cosa rispondere, di fronte ai silenzi e alle puntuali elusioni insistendo ottengo risposte cosi patetiche da trattenersi per non prenderli a schiaffi ("perche prima non c'era internet", "perche prima eravamo meno ricchi"...). Chissa che poi la sera nel letto non si facciano due domande quei coglioni. Dunque questo era il primo punto, utilizzare il confronto con il pre 89 per meglio illuminare il fenomeno immigrazione.
PUNTO II) PORRE LA DOMANDA: E' COSA "BUONA" E INTELLIGENTE DIMENTICARE I NOSTRI PROBLEMI ATAVICI PER PENSARE A QUELLI DI CHI SBARCA SULLE NOSTRE COSTE CHIUNQUE ESSO SIA?
SUL SENSO DELL'UNITA' NAZIONALE. Quella cosa che era ancora in costruzione fin dai tempi della relativamente recente unificazione, il problema principale dell'Italia, l'assenza di spirito di corpo l'assenza di ITALIANITA' un'assenza che fa dell'italiano il "furbetto" o l'omertoso di sempre, in pratica il problema principe dell'Italia da sempre. Ed ora possiamo anche dimenticarci nemmeno di risolverlo ma addirittura di affrontarlo, sarebbe ridicolo farlo in mezzo a questa puzza di kebab e parlare di unita' d'Italia di questi tempi ha il rumore di una digestio mortis. Come pretendere che degli africani o degli asiatici imparino ad amare e rispettare la nazione la legalita' la coesione da noi, che siamo italiani? Saranno tutti come noi e molto peggio di noi, che saremo sempre peggio a causa loro. Dunque un mezzo aiuto ai pezzenti del mare e dell'aria (non ai loro paesi) ma un bel danno al paese. Seneca diceva che aiutare tutti a occhi bendati senza valutarne e premiarne i meriti senza sapere chi si aiuta non e' generosita' ma soltanto stupido spreco, aveva ragione. E questo e' il secondo punto, la picconata alla nuca dell'unita' d'Italia che non puo essere cosa soltanto politica senza esserlo culturalmente e spiritualmente. Siamo finiti.
CI POTREBBE STARE PURE IL PUNTO III, MA PURE ALTRI) I DISPENSATORI DI AMORE E ACCOGLIENZA SONO NEI FATTI DEGLI ASSASSINI. Non sarebbe difficile battere e ribattere sul punto matematico della cosa. Laddove a fronte di tutti i problemi questi invasati della bonta' si ostinassero a parlare di morti in mare e a fare la fatidica idiota domanda: "Che facciamo? Li lasciamo affogare?", si potrebbe fare presente come respingendo le prime imbarcazioni si spedirebbe quella gente in mano ai libici o forse se gli dice male in fondo al mare ma e' evidente che non ne partirebbero altre (come non ne partivano fino a qualche decennio fa). Dunque al cinico netto dei morti chi vuole respingere in mare e'un benefattore in quanto con i respingimenti si evitano si sarebbero evitati e si eviterebbero un numero sterminato di affogati. Costoro oltre a sostenere gli interessi dei mercanti di avorio nero sono degli ASSASSINI, bisogna farglielo capire.
Alla costante ricerca di facili onori. Da qui sbandieramento di grane giudiziarie, autoreferenzialismo, arroganza, assenza di umilta',"tu sei un cammeratato! fascista da tastiera! nun c'hai le palle! sei scappato! sei un vigliacco!". L'Italia e' un paese pieno di gente con le palle quanto vuoto di cervelli se non si sanno individuare e mettere in luce simili punti chiave e saluti romani o camice nere alle contestazioni potrebbero fare il gioco del nemico. Chiaro che le palle al cervello ce le hanno in pochi ed e' piu facile attaccare uno striscione per poi vantarsene su facebook ma forse cosi l'area neofascista vive chiusa in un suo mondo asfittico che rischia di soffocarla. Per quanto schifoso possa essere, chi ambisce a combattere dovrebbe mettere le mani nella merda e cominciare a parlare a quel popolo di cretini piu che tributarsi onori, e a farlo con intelligenza; aprire gli occhi alla bella addormentata con un coltello e' difficile, quello andrebbe riservato solo ad alcuni. Ma mi pare che nessuno faccia nemmeno quello. Io di palle in Italia non ne riesco a vedere se non stiamo parlando dei coglioni.
Andres Marzio Molise
SISTEMA GIUDAICO IN EUROPA Fu un vescovo nelle Ande il primo a spiegarmi come funzionasse il sistema di strozzinaggio, quel sistema di sfruttamento del terzo mondo (Peru in quel caso) che si basa su prestiti a buffo con interessi altissimi effettuati dal Fondo Monetario Internazionale a paesi che non ne sarebbero mai piu potuti uscire.
Questo marcio sistema giudaico oggi qualche criminale lo sta cercando di portare anche in Europa, dando luogo cosi ad un sistema di autocannibalismo...ma non hanno fatto i conti con lo spirito degli europei che non potra mai essere come quello di popolazioni da sempre secondarie e senza un passato di dominatori. Ora questo spirito non e' in tutti gli europei, lo e' solo in potenza. Questo spirito e' quello che viene oggi definito dai criminali e dalle pecore delle borghesi sinistre occidentali (che li votano) come "i populismi" o "i fascismi".
"IL MONDIALISMO E' LA CARTA VINCENTE CONTRO I POPULISMI" (Enrico Letta dopo la sconfita di Marine Le Pen) Secondo l'uso delle (false)sinistre europee si cambia vocabolo. Ora il termine "fascismo" (effettivamente anacronistico in tempi di non fascismo) sta venendo sostituito dal piu moderno "populismo". L'attribuzione non cambia: chiunque si discosti dalle politiche idee e culture dei regimi plutocratici e (falso)democratici diviene un "populista" e va eliminato a furor di popolo. E il popolo segue.
SINISTRA DI REGIME C'e un fenomeno in atto una globalizzazione sporca e malsana basata sul dio denaro quindi sul colonialismo occidentale (si veda la situazione siriana), sullo sfruttamento degli immigrati (si veda le nuove culture di "accoglienza") e sullo sfruttamento delle nazioni sulle nazioni (si veda l'Europa politica). E su ogni fronte questo sporco fenomeno dei nostri tempi ha l'appoggio delle "sinistre" occidentali. Chi invece si oppone sono quei movimenti definiti populismi o fascismi.
Andres Marzio Molise
Di Simone Rambaldi
Roma si trovò a confrontarsi con i tanti popoli sparsi nei più lontani territori dell'oikoumene, il mondo abitato che gli antichi conoscevano, a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. In seguito alla lotta contro la potenza cartaginese, infatti, la sua supremazia politica e militare cominciò a estendersi anche al di fuori dei confini naturali della penisola italiana, per continuare ad ampliarsi ancora fino al III secolo d.C., quando Settimio Severo e il figlio Caracalla furono gli ultimi imperatori a potersi fregiare del titolo di propagatores imperii[1]. I rapporti intrattenuti con le popolazioni straniere potevano essere, di volta in volta, all'insegna dell'alleanza, dell'integrazione o della sottomissione, ma le fonti che possediamo, comprese quelle greche, sono sempre concordi nel tramandare come, nei confronti delle relazioni internazionali, la posizione romana fosse costantemente improntata a una convinzione di superiorità morale e di irresistibile capacità civilizzatrice[2]. Roma, con le proprie norme e il proprio modus vivendi, finiva per sovrapporsi inevitabilmente agli altri popoli che entravano a far parte del suo immenso impero, i quali potevano in genere conservare le tradizioni e i culti aviti, ma erano comunque costretti ad adeguarsi ufficialmente alla cultura romana, soprattutto in tutti gli aspetti pubblici e sociali in cui si esprimeva il vivere civile.
Di questo enorme processo di assimilazione l'arte figurativa ci conserva preziose testimonianze, fondamentali per capire a fondo l'atteggiamento della civiltà romana verso i popoli con cui entrava in contatto e ai quali imponeva la propria supremazia. Poiché si tratta di un problema assai complesso, in questa sede dobbiamo limitarci a considerare un numero ristretto di esempi, senza oltrepassare il periodo delle ultime conquiste severiane, soprattutto con lo scopo di enucleare i temi fondamentali attorno ai quali ruotava l'interesse della committenza[3]. Del resto, come si avrà modo di vedere, si possono facilmente isolare alcune costanti che si ritrovano praticamente in tutti i periodi in cui si esercitò l'imperialismo romano: su queste soprattutto cercherò di attirare l'attenzione.
Possiamo prendere le mosse da due testimonianze risalenti agli anni centrali del I secolo a.C., rappresentate da due sculture conservate a Roma, famose quanto significative, i cosiddetti "Galata morente" del Museo Capitolino[4] (fig. 1) e il "Galata suicida" della collezione Ludovisi[5] (fig. 2), oggi nella nuova sede del Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps. Si tratta di copie marmoree di statue che in origine appartenevano a un unico monumento ellenistico, il donario in bronzo dedicato dal sovrano Attalo I sull'acropoli di Pergamo, precisamente nel santuario di Athena Nikephoros, al fine di celebrare le sue vittorie sui Galati, i Celti che, dopo avere depredato l'Asia Minore, si erano ritirati al suo interno. Secondo l'interpretazione tradizionale[6] questo ex voto, dalla datazione discussa ma comunque collocabile nel terzo quarto del III secolo a.C. o immediatamente dopo, si componeva di un podio circolare, sormontato da sculture. Al centro, fulcro di tutto l'insieme, si trovava l'originale del gruppo Ludovisi, formato da un Galata rappresentato nell'atto di togliersi la vita subito dopo avere ucciso la moglie, che giace morente ai suoi piedi; tutt'intorno vi erano invece le statue di altri quattro guerrieri galati, esanimi o agonizzanti, fra i quali l'originale della statua capitolina, raffigurante un barbaro ferito a morte, che sta per accasciarsi al suolo in mezzo alle sue armi[7]. Tali sculture costituiscono momenti importanti nello sviluppo dell'ellenismo pergameno, con la loro attenzione per momenti di elevata drammaticità, che commuovono fortemente lo spettatore. Le copie romane provengono dagli Horti Sallustiani, che prima di appartenere allo storico erano stati di proprietà di Giulio Cesare[8], il quale aveva probabilmente voluto decorare i suoi giardini urbani con queste opere perché bene si prestavano, per il loro contenuto, a ricordare le sue imprese galliche. Non è chiaro se negli Horti fosse stato ricostruito il donario di Attalo nella sua interezza, oppure se i suoi singoli componenti scultorei fossero stati disseminati in punti diversi del parco. In ogni caso possiamo vedere come, in età tardorepubblicana, una serie di raffigurazioni di stranieri vinti, desunta da un monumento pubblico in origine destinato a immortalare le imprese di un dinasta ellenistico, potesse servire anche per decorare possedimenti privati.
Queste statue, in quanto copie di originali dell'Asia Minore, non possono essere considerate propriamente opere di arte romana, ma sono comunque indicative sia del gusto estetico del periodo sia dell'importanza delle esperienze ellenistiche, le quali, in questo come in molti altri casi, hanno determinato l'ingresso in Roma di iconografie in origine elaborate in un contesto differente. Non si tratta però, su suolo italico, della prima attestazione di personaggi di razza celtica nell'arte di età romana: è infatti databile ad un'epoca alquanto anteriore, vale a dire nella prima metà del II secolo a.C., un fregio in terracotta ritrovato a Civitalba, nelle Marche, e conservato in frammenti[9]. Sicuramente apparteneva ad un piccolo tempio, eretto in ricordo della battaglia di Sentino che, non lontano da lì, aveva visto i Romani sconfiggere una coalizione di Sanniti, Umbri, Etruschi e Galli Senoni, al termine della terza guerra sannitica (295 a.C.). Le scene rappresentate sono di difficile lettura, anche per la non sicura ricomposizione che si può ottenere dai frammenti superstiti, ma sembrano comunque relative al saccheggio del santuario di Delfi, dovuto a una scorreria di Galati nota alle testimonianze letterarie[10]. Lo scopo di questa scelta iconografica era naturalmente quello di fornire un prestigioso parallelo storico alle vicende belliche che avevano segnato la zona un secolo prima.
Nei monumenti pubblici del periodo augusteo, i rapporti instaurati da Roma con le popolazioni sottomesse si precisano meglio nella loro complessità, poiché vi si possono evidenziare diversi aspetti, che riflettono i differenti messaggi di volta in volta affidati alle rappresentazioni artistiche. Innanzi tutto si può prendere in esame un monumento particolarmente grandioso, in buona parte conservato, il Trophée des Alpes, elevato fra il 7 e il 6 a.C. a La Turbie, tra l'odierno Principato di Monaco e Nizza. Si tratta di un gigantesco tumulo, circondato, al di sopra di un parallelepipedo di base, da un alto colonnato che racchiudeva una serie di nicchie con i ritratti marmorei dei generali di Augusto, e coronato da una grande statua dello stesso principe, sulla sommità di un tetto conico a gradoni[11] (fig. 3). Alla base della struttura era murata un'epigrafe[12], che ricordava i quarantaquattro popoli alpini sottomessi da Augusto nelle guerre combattute in questa zona, negli anni 25-14 a.C. L'immagine che si offriva agli occhi non solo degli abitanti del territorio, ma anche dei viaggiatori che percorrevano la strada fra l'Italia e la penisola iberica, la via Iulia Augusta presso la quale il monumento era stato costruito, era certo delle più impressionanti: il colossale ritratto di Augusto, idealmente sostenuto da tutti i suoi ufficiali, sembrava schiacciare sotto di sé persino il ricordo delle popolazioni battute, i cui nomi erano riportati con esattezza nella lunga iscrizione dedicatoria. Manca totalmente qualsiasi rappresentazione dei nemici sconfitti, ma una soluzione così potente come quella qui concepita è sufficiente a imporre da sola tutta la terribile invincibilità del princeps. Forse la presenza di figure di nemici avrebbe potuto introdurre un elemento dialettico, capace di attenuare la dirompente valenza dimostrativa del grande trofeo[13].
A Susa, non lontanissimo dal Trophée des Alpes, troviamo un monumento ufficiale quasi contemporaneo ma molto diverso, che riflette un atteggiamento differente nei confronti di un popolo vinto, l'Arco di Cozio. Si tratta di un arco onorario, elevato da questo personaggio, che aveva regnato sul locale popolo dei Segusii e ora finiva per riconoscere la supremazia di Roma, accettando di continuare a governare la regione non più come re, ma come praefectus civitatum[14], cioè diventando un magistrato di rango equestre. L'arco è decorato da un fregio, importante per la storia del rilievo a soggetto storico in ambito provinciale, che raffigura cerimonie pubbliche celebrate dallo stesso Cozio, vestito con la toga del cittadino, in compagnia di un generale romano[15].
Le due testimonianze appena considerate ci mostrano perciò le due facce della politica augustea verso i popoli sottomessi: da un lato la supremazia inappellabile, affermata nel Trophée des Alpes col suo formidabile valore di monito, dall'altro l'assimilazione dei vinti a Roma, come si vede sull'arco dell'ex re Cozio, che si piega a diventare un cavaliere e a governare in nome della potenza vincitrice. Le rappresentazioni di nemici sottomessi divengono peraltro uno dei topoi dell'arte ufficiale del periodo, come è attestato da un grande numero di esempi di ogni genere, dalle monete che raffigurano Parti inginocchiati, nell'atto di restituire le insegne perdute da Crasso nella battaglia di Carre[16] (fig. 4), ai barbari immortalati nella pietra che decoravano la porticus Cai et Luci, un portico che sorgeva di fronte alla Basilica Emilia nel Foro di Roma[17]. Figure come queste ultime continueranno ad essere impiegate di frequente nei monumenti pubblici, fino all'Arco di Costantino.
In quel medesimo periodo, però, il rapporto con le genti non romane si esplicava anche attraverso un canale molto diverso, che privilegiava i legami ormai saldi degli stranieri col potere centrale, in un'oikoumene unificata dalla Pax Augusta. Di questo differente atteggiamento abbiamo numerose attestazioni, prima di tutto nel campo della letteratura, con le numerose lodi che la poesia augustea tesse della pace universale e della florida prosperità che ad essa consegue, grazie alla supremazia di Roma nel mondo[18], ma anche nuovamente nella documentazione artistica, la cui conoscenza per questo specifico aspetto, peraltro, è per noi più lacunosa e soprattutto più dipendente dalle informazioni che possono essere rintracciate nelle fonti. Sappiamo che Augusto aveva aggiunto un portico al grande complesso realizzato da Pompeo nel Campo Marzio, complesso che comprendeva un teatro, il primo edificio per spettacoli costruito in muratura a Roma (55 a.C.), e ampie aree scoperte, occupate da giardini cinti da portici e decorati da un ricco apparato scultoreo[19]. Si discute sull'interpretazione da dare a questo porticato di età augustea, noto come Porticus ad nationes, al cui interno o nelle cui immediate vicinanze erano collocate quattordici rappresentazioni di etnie straniere, che avrebbero tormentato Nerone in uno dei suoi incubi notturni: secondo il racconto di Svetonio, l'imperatore avrebbe sognato, negli ultimi anni del suo principato, di trovarsi il cammino sbarrato da questi personaggi femminili che lo circondavano, quasi rappresentassero la sua cattiva coscienza verso i territori governati[20].
Una serie di personificazioni doveva essere probabilmente inserita anche nell'apparato decorativo di un altro importante impianto pubblico, il nuovo Foro costruito dallo stesso Augusto accanto a quello realizzato dal padre adottivo Cesare. Le testimonianze archeologiche sono incerte in proposito, ma il ritrovamento di una base iscritta lascia pensare che anche qui le diverse popolazioni dell'impero, se non le province intese come unità amministrative, concorressero a celebrare il buon governo del principe, che aveva riportato la pace nel mondo devastato dalle guerre civili[21].
L'esaltazione dell'impero, inteso come insieme di popoli che in armonia riconoscevano l'autorità romana, è attestata non solo, come è ovvio, nella capitale, ma anche in territori molto lontani, come ad Afrodisia, nella regione microasiatica della Caria. In questa città è stato riportato alla luce un grande complesso pubblico di età giulio-claudia, noto come Sebasteion, costituito da un tempio, dedicato a Venere, al Divo Augusto e alla sua discendenza, e da una grande area scoperta circondata, su ben tre ordini, da portici ornati da bassorilievi nei parapetti degli intercolumni. Non è possibile, qui, presentare una descrizione dettagliata dell'apparato scultoreo che decorava l'impianto, ma vorrei ricordare almeno che, al piano intermedio di uno dei lati lunghi, si sviluppava una serie di personificazioni femminili di ethne, analoghe a quelle già menzionate e giunte a noi solo in parte, identificate per mezzo delle iscrizioni poste sui plinti che le sostenevano. Sul lato opposto vi erano, fra l'altro, rilievi meglio conservati che rappresentavano scene di sottomissione in chiave allegorica, come Augusto dominatore della terra e del mare, Claudio che abbatte la personificazione della Britannia (fig. 5) e Nerone che sconfigge l'Armenia[22].
Questa trasfigurazione "mitologica" delle imprese di conquista degli imperatori giulio-claudi non deve sorprendere, dato che la propaganda ufficiale riprese in diverse occasioni miti greci, piegandoli ai propri fini. Basti pensare alla decorazione della corazza di un torso loricato di un principe sconosciuto, ma comunque giulio-claudio, ritrovata ancora a Susa, la città già nominata per l'arco di Cozio. Secondo uno schema molto utilizzato per le statue degli imperatori in abito militare, che trova il suo antecedente nella celeberrima statua di Augusto di Prima Porta[23], sono effigiati in posizione simmetrica due Arimaspi, intenti ad abbeverare due grifi[24] (fig. 6). Il popolo arimaspico è più volte citato nelle fonti, che lo rappresentano solitamente in lotta con questi animali favolosi, allo scopo di depredarli dell'oro che custodiscono[25]. I due barbari non sono particolarmente caratterizzati e non sembrano neppure monoftalmi, a differenza di come vengono descritti nelle testimonianze letterarie; l'abbigliamento, con berretto frigio e anaxyrides (pantaloni lunghi), li qualifica solo genericamente come "orientali". Non è comunque difficile comprendere la ragione di questa scelta iconografica, che trasporta la politica sul piano del mito: il governo di Augusto e dei suoi immediati successori era riuscito persino a pacificare Arimaspi e grifi, tanto che i primi potevano essere ora rappresentati nell'atto di accudire i secondi.
I barbari non ancora assoggettati all'impero continueranno però ad avere un ruolo tutt'altro che marginale nell'arte ufficiale. Nel corso del II secolo d.C. si assiste, infatti, a un ritorno delle immagini belliche sui monumenti pubblici, con scene di battaglie ed episodi cruenti, che erano state abbandonate in età altoimperiale, quando la committenza aveva preferito tralasciare tali schemi iconografici, sempre di matrice ellenistica, in favore di immagini più serene[26] e di modelli appartenenti ad altri momenti della produzione artistica greca, per ragioni che qui non possiamo approfondire.
La Colonna Traiana a Roma rappresenta, lungo le ventitré spire del lungo fregio figurato che l'avvolge, le due guerre che portarono Roma alla conquista della Dacia[27]. La sequenza di immagini concede ampio spazio al nemico: i barbari daci sono rappresentati non solo nell'atto di combattere con i soldati romani nei tanti episodi di battaglia, ma anche in scene di diverso genere e di notevole effetto, come un suicidio di massa all'interno di un villaggio fortificato cinto d'assedio[28] (fig. 7). A proposito di scene come questa si è parlato, in passato, dell'espressione di un rispetto e di una partecipazione umana al dramma del popolo sconfitto che non troverebbero confronti in tutto il panorama dell'arte greco-romana[29]. Oggi però si tende a non sopravvalutare gli indizi che pure sembrano incoraggiare una lettura di questo tipo, forse un po' troppo modernizzante nel suo applicare a un monumento ufficiale di età romana una sensibilità e un'attenzione per i risvolti sociali delle vicende belliche che il mondo antico non ha certamente mai avuto[30].
Quello che nelle scene istoriate del monumento poteva sembrare ancora un riflesso della paideia greca, ormai assente, invece, nella posteriore Colonna Aureliana, dove i nemici germanici sconfitti saranno presentati solo come vinti schiacciati e umiliati[31], è forse da interpretare meglio come un preciso intento di porre l'avversario sullo stesso piano umano del vincitore, in modo da accrescere la virtus di quest'ultimo. La storiografia fornisce esempi di un simile atteggiamento: nel resoconto di Plutarco, Lucio Emilio Paolo, dopo la vittoria di Pidna nella terza guerra macedonica (168 a.C.), si mostra infastidito dalla scarsa dignità di cui il re Perseo dà prova quando viene condotto al suo cospetto, tanto che finisce per pregarlo di non svilire in quel modo il suo successo personale, perché un tale comportamento poteva far credere che fosse stato battuto un nemico codardo e spaventato[32]. Un monumento di Delfi, in un primo tempo iniziato da Perseo in previsione di una sua vittoria, ma di cui si era appropriato Emilio Paolo dopo Pidna [33], rivela chiaramente come la volontà di raffigurare i nemici sullo stesso piano, alla pari col vincitore da celebrare, trovava anch'essa i suoi precedenti nell'arte greca. Si tratta d'altronde di un'opera che deve a tutti gli effetti essere considerata greca, dato che fu sicuramente eseguita da artisti locali. Il trofeo, sormontato dalla statua equestre del generale romano, aveva la forma di un pilastro, che alla sommità era decorato da un fregio raffigurante episodi della battaglia, dove i Macedoni appaiono rappresentati in maniera praticamente identica ai Romani, da cui si differenziano solo per taluni particolari dell'armamento, ma non per gli atteggiamenti[34].
Questa diversa interpretazione dei rilievi della Colonna Traiana chiarisce come l'apporto della tradizione formale greca, soprattutto nei suoi sviluppi di età ellenistica, emerga ancora in tutta la sua importanza, anche in uno dei monumenti dell'arte romana che sono sempre apparsi più "originali". Ciò implica, inoltre, che la visione che i Romani si erano formati delle popolazioni straniere era largamente debitrice delle concezioni maturate dai Greci, i quali erano convinti della propria superiorità morale, soprattutto in rapporto alle genti d'Oriente[35]. La stessa Weltanschauung dimostrata dalla politica romana, in età imperiale ma anche in precedenza, si rivela influenzata dalle opere di alcuni geografi greci, come Posidonio e Strabone, che avevano lavorato per l'aristocrazia di Roma[36]. Anche la descrizione del mondo che Augusto traccia nelle sue Res gestae è, d'altronde, chiaramente permeata di spirito greco[37]. I rilievi della Colonna mostrano dunque un nemico forte e fiero, a maggior gloria dei suoi conquistatori, ma nello stesso tempo lasciano trasparire le profonde differenze di ordine culturale che dividevano i due popoli: i Daci sono presentati talora nell'atto di compiere azioni che alla sensibilità romana non potevano non apparire impiae, come le decapitazioni dei prigionieri[38], per non parlare di una scena raccapricciante, nella quale un gruppo di donne daciche tortura con torce alcuni Romani catturati[39]. Il fregio figurato non nasconde del resto scene dove anche l'esercito romano si abbassa a commettere atti di analoga crudeltà [40], ma si ha l'impressione, almeno sulla base della maniera in cui gli episodi si susseguono, che tali atrocità siano da interpretare come volute risposte ai misfatti dei Daci[41].
L'atteggiamento di Roma nei confronti del nemico straniero, così come si può riconoscere sui suoi monumenti figurativi, non lascia dunque mai spazio a dubbi. Si riconferma sempre, e non potrebbe essere altrimenti in opere ufficiali dello Stato romano, la supremazia del vincitore sugli avversari, i quali potranno, in alcuni casi, essere riconosciuti valorosi in battaglia, però non saranno mai ritenuti capaci di abbattere la potenza inarrestabile della città tiberina, dato che non appaiono in grado di eguagliarne né l'invincibile virtus né la superiore forza spirituale. Le numerose scene in cui i soldati romani non si mostrano impegnati nei combattimenti, ma nell'allestimento di accampamenti, nella costruzione di ponti o nella conduzione di lavori agricoli[42], si spiegano plausibilmente, infatti, con la precisa volontà di mettere nella dovuta evidenza la loro somma sapienza logistica, contrapposta all'istintualità, all'irriflessione anche, dalle quali i Daci, incapaci di "costruire" per la pace, sembrano spesso trascinati[43].
Video di Andres Marzio Molise
E' poi da notare l'attenzione per il particolare dimostrata in questi rilievi, dove i nemici, e i loro alleati, sono di volta in volta presentati con gli attributi che ne caratterizzano inequivocabilmente l'ethnos, a differenza del fregio del pilastro delfico di Emilio Paolo prima ricordato. I Daci, infatti, combattono con la sica, una spada ricurva dal lungo manico[44], indossano un tipico berretto conico e portano i capelli acconciati con una crocchia sulla tempia destra. Questi dettagli si spiegano sicuramente con il desiderio di non lasciare alcun dubbio circa la natura etnica dei nemici[45]. Altrove, però sempre nell'ambito dell'arte ufficiale, gli avversari sono rappresentati in modo molto meno preciso, secondo un modello sommario di "orientale". Così, ad esempio, nei rilievi che illustrano le campagne mesopotamiche dei Severi sull'Arco di Settimio Severo nel Foro Romano, peraltro di lettura più difficile rispetto alle chiare rappresentazioni della Colonna Traiana, a causa del cattivo stato di conservazione ma anche, indubbiamente, del maggiore affollamento delle scene figurate, che seguono generici schemi di battaglia ancora di derivazione ellenistica[46].
Non erano d'altronde caratterizzate in maniera molto puntuale, dal punto di vista etnico, nemmeno le personificazioni di province che l'arte pubblica aveva continuato a impiegare durante il II secolo d.C., come dimostra un'importante serie di personaggi femminili che appartenevano alla decorazione architettonica dell'Hadrianeum, il tempio che Antonino Pio aveva dedicato, a Roma, al predecessore Adriano divinizzato. In passato si riteneva solitamente che queste figure decorassero i plinti delle colonne interne della cella, inframmezzate a rilievi con trofei di armi negli intercolumni, ma ora sembra abbastanza convincente una diversa interpretazione, secondo la quale esse erano poste in opera all'esterno dell'edificio templare, precisamente nei portici che lo racchiudevano[47] (fig. 8). I personaggi superstiti, come si diceva, non mostrano fra loro profonde diversità, tanto che l'identificazione dei territori simboleggiati è assai controversa, e solo per alcuni di essi può essere abbastanza sicura; in ogni caso, solo gli attributi possono fornire indicazioni, perché qualunque caratterizzazione di tipo strettamente etnico è assente[48]. Del resto non si può nemmeno essere sicuri che siano rappresentate proprio le province, intese come unità amministrative, di cui si componeva l'impero all'epoca di Adriano. Forse si tratta piuttosto delle personificazioni dei diversi ethne che erano compresi nella compagine statuale romana, come le nationes del complesso pompeiano prima ricordato, senza che si debba pensare a uno stretto legame con la divisione provinciale[49]. Qualunque fosse la reale collocazione di queste sculture all'interno del santuario consacrato al Divo Adriano, il valore in esse contenuto è indubbio: il buon governo del principe defunto, alla cui politica Antonino Pio si voleva direttamente richiamare, come dimostrano alcuni atti iniziali del suo regno[50], è causa e nello stesso tempo risultato della floridezza di tutti i territori dell'impero. E' interessante rammentare che anche in età moderna la propaganda dinastica non tralascerà rappresentazioni di questo genere, allo scopo di sottolineare la prosperità, reale o presunta, del paese governato. Così, a puro titolo di esempio, nel soffitto della Sala del Trono al primo piano del Palazzo Reale di Napoli, si possono vedere quattordici figure femminili in stucco dorato, che simboleggiano le province in cui si divideva il Regno delle Due Sicilie e che non possono fare a meno di ricordare, pur nella diversa iconografia, le personificazioni antoniniane[51].
Tornando alle immagini di stranieri, si potrebbero aggiungere altri esempi, come il frequente schema dei prigionieri incatenati, di cui un rilievo di Magonza offre una testimonianza particolarmente impressionante[52] (fig. 9). Ma, nel complesso, non si apporterebbero molti elementi nuovi rispetto a quelli finora messi in luce. Il dato di certo più evidente, che emerge dall'esame di queste rappresentazioni nell'arte romana, è che esse appaiono di norma finalizzate, in un modo o nell'altro, a esaltare la potenza romana, quasi fosse una necessità voluta dal fato. Nemici sconfitti, personificazioni dei territori conquistati, barbari mitologici: queste diverse raffigurazioni concorrono tutte alla glorificazione del vincitore, perché solo per tale scopo, in ultima analisi, sono utilizzate. Perciò è molto difficile trovare illustrati la vita, i costumi, le abitudini dei popoli stranieri; non compaiono mai soggetti che attestino interessi etnografici, quali invece avevano manifestato molti scrittori greci in monografie, o in digressioni all'interno di opere più vaste, appositamente dedicate non solo alla storia, ma anche agli usi di altri popoli. Dove compaiono, nel panorama della produzione artistica di età romana, scorci di umanità delle popolazioni barbare, questi si possono comunque spiegare sempre nell'ottica della conquista, come le genti deportate che, insieme ai loro animali, si incamminano verso un incerto futuro nell'ultima scena della Colonna Traiana[53].
Tutto questo non si deve pensare che avvenga soltanto nel campo dell'arte ufficiale, la quale è per definizione dipendente da canoni contenutistici e rappresentativi che non possono lasciare dubbi negli osservatori. I medesimi temi, infatti, sono reperibili anche nella sfera individuale dei cittadini che abitavano l'orbe romano, quasi fossero stati "privatizzati". Così, a impersonare semplici immagini di lutto, si incontrano frequentemente figure di barbari afflitti, secondo uno schema già presente in alcuni monumenti pubblici provinciali, agli angoli dei sarcofagi decorati a rilievo, sempre più diffusi nel corso del II secolo d.C.; di norma il motivo è in relazione con affollate scene di combattimento che si dipanano sulla fronte della cassa, come nel cosiddetto "sarcofago di Portonaccio", risalente al 190 d.C. circa[54] (fig. 10). Su scala ancora più piccola, schemi iconografici similari si ritrovano, e ciò non può stupire, nella decorazione degli equipaggiamenti dei soldati, come ad esempio una piccola targa in bronzo in origine rivestita di argento, raffigurante un trofeo con armi, ai cui lati si ergono due prigionieri barbari, come nel sarcofago appena citato[55].
Dunque non solo nell'ambito pubblico, ma anche in quello privato possiamo riconoscere lo stesso trattamento per i popoli stranieri, relegati in margine all'humanitas e presenti nell'arte solamente se funzionali all'esaltazione della potenza imperialistica di Roma. Certi monumenti funerari diffusi nelle province (ma bene attestati anche nell'Italia settentrionale), ornati da rilievi con episodi dell'esistenza di tutti i giorni, come scene ambientate all'interno di botteghe o nelle campagne (fig. 11), che anticipano le immagini di mestieri diffuse nel Medio Evo, non devono trarre in inganno. La vita quotidiana qui rappresentata non mostra alcun particolare che la possa differenziare da quella che si doveva condurre nel resto dell'impero, Italia compresa. Anzi, queste raffigurazioni erano scelte, di norma, allo scopo di testimoniare per quali mezzi la cittadinanza romana era stata ottenuta dai proprietari delle tombe, i quali rinunciavano così alla propria identità etnica, di fronte a tutti quelli che osservavano i loro monumenti, per dichiararsi anch'essi parte dell'immenso organismo statuale che aveva inglobato il loro paese.
Note:
[1] L'Arco di Settimio Severo nel Foro di Roma, monumento che sarà citato anche in seguito, era stato dedicato dal Senato e dal popolo romano ob rem publicam
restitutam imperiumque propagatum, come attesta l'epigrafe dedicatoria (CIL VI, 1033).
[2] E' ad esempio significativo l'atteggiamento di Sesto Giulio Frontino, che fu curator aquarum, cioè supervisore degli acquedotti, nel 97 d.C., quando scrive che le grandiose opere idrauliche dei Romani erano ben più importanti delle piramidi egiziane e delle opere d'arte dei Greci, celebri ma inutili (De aquae ductu urbis Romae 16).
[3] In generale sull'atteggiamento greco-romano nei confronti delle popolazioni straniere, e sui relativi riflessi nell'arte, sono da tenere presenti: Y.A. Dauge, Le Barbare. Recherches sur la conception romaine de la barbarie et de la civilisation (Collection Latomus 176), Bruxelles 1981; E. Demougeot, L'image officielle du barbare dans l'Empire romain d'Auguste à Théodose, in Ktema. Civilisations de l'Orient, de la Grèce et de Rome antique 9, 1984, pp. 123-143; E. Lévy, Naissance du concept de barbare, ibid., pp. 5-14 (nello stesso numero della rivista sono pubblicati altri lavori interessanti); R.F. Schneider, Bunte Barbaren. Orientalstatuen aus farbigen Marmor in der römischen Repräsentationskunst, Worms 1986 (specifico sulle statue in marmi colorati); J. Ostrowski, Les personnifications des Provinces dans l'Art romain, Varsovie 1990; E. La Rocca, Ferocia barbarica. La rappresentazione dei vinti tra Medio Oriente e Roma, in Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts 109, 1994, pp. 1-40; P. Liverani, "Nationes" e "Civitates" nella propaganda imperiale, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung 102, 1995, pp. 219-249 (che analizza molti monumenti); B. Cohen, Not the Classical Ideal. Athens and the Construction of the Other in Greek Art, Leiden-Boston-Köln 2000 (importante per le rappresentazioni di stranieri nell'arte greca, soprattutto pp. 313-479).
[4] Vd. W. Helbig (a cura di), Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom II, Tübingen 19664, pp. 240-242, n. 1436 (H. von Steuben); M. Mattei, Il galata capitolino, in S. Moscati (a cura di), I Celti (Catalogo della Mostra, Venezia 1991), pp. 70-71; E. Polito, I Galati vinti. Il trionfo sui barbari da Pergamo a Roma, Milano 1999, pp. 72-85.
[5] Vd. W. Helbig (a cura di), Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom III, Tübingen 19694, pp. 255-256, n. 2337 (W. Fuchs); B. Palma, L. de Lachenal, I Marmi Ludovisi nel Museo Nazionale Romano, in A. Giuliano (a cura di), Museo Nazionale Romano. Le sculture I, 5, Roma 1983, pp. 146-152, n. 64 (B. Palma); E. Polito, cit., pp. 58-71.
[6] Così come fu formulata in A. Schober, Das Gallierdenkmal Attalos I. in Pergamon, inMitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung 51, 1936, pp. 104-124.
[7] In generale sul donario pergameno, e per altre ipotesi di ricostruzione, vd. F. Coarelli, Il "grande donario" di Attalo I, in I Galli e l'Italia (Catalogo della Mostra, Roma 1978), Roma 1978, pp. 231-255; R. Özgan, Bemerkungen zum Grossen Gallieranathem, in Archäologischer Anzeiger 1981, pp. 489-510; T. Hölscher, Die Geschlagenen und Ausgelieferten in der Kunst des Hellenismus, in Antike Kunst 28, 1985, pp. 120-136, specificamente pp. 120-123; H.-J. Schalles, Untersuchungen zur Kulturpolitik der pergamenischen Herrscher im dritten Jahrhundert vor Christus, in Instanbuler Forschungen 36, 1985, pp. 68-104; E. Polito, cit., pp. 23-43 (con ulteriore bibliografia).
[8] Vd. G. Cipriani, Horti Sallustiani, Roma 19822; P. Grimal, I giardini di Roma antica, Milano 1990 (ediz. orig. Les jardins romains, Paris 19843), pp. 134-136; Lexicon Topographicum Urbis Romae, a cura di E.M. Steinby, vol. III, Roma 1996, s.v. Horti Sallustiani (P. Innocenti, M.C. Leotta); E. Talamo, Gli horti di Sallustio a Porta Collina, in M. Cima, E. La Rocca, Horti Romani (Atti del Convegno, Roma 1995), in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma suppl. 6, 1998, pp. 113-169.
[9] Dopo essere stati esposti al Museo Civico di Bologna, il fregio e il frontone che lo sormontava (raffigurante probabilmente la ierogamia di Dioniso e Arianna) sono stati trasferiti al Museo Nazionale delle Marche di Ancona, dove si trovano tuttora. Vd. M. Zuffa, I frontoni e il fregio di Civitalba nel Museo Civico di Bologna, in Studi in onore di Aristide Calderini e Roberto Paribeni, vol. III, Milano 1957, pp. 267-288; M. Verzár, F.-H. Pairault-Massa, Civitalba, in I Galli e l'Italia, cit., pp. 196-203; M. Landolfi, Il frontone e il fregio di Civitalba, in Marche 1990, pp. 9-13; Id., Le terrecotte architettoniche da Civitalba di Sassoferrato, in Ostraka 3, 1994, pp. 73-91, specificamente pp. 81-83.
[10] Cic., De div. I, 37, 81; Liv. XXXVIII, 48. Cfr. anche Pol. II, 20, 6; 35; IV, 46, 1.
[11] Vd. J. Formigé, Le Trophée des Alpes (La Turbie), Paris 1949; G.-Ch. Picard, Les trophées romains. Contribution à l'histoire de la Religion et de l'Art triomphal de Rome, Paris 1957, pp. 291-301; S. De Maria, Segni, cerimonie e monumenti del potere, in S. Settis (a cura di), Civiltà dei Romani. Il potere e l'esercito, Milano 1991, pp. 123-143, specificamente pp. 137-138.
[12] CIL V, 7817. Ne parla anche Plinio il Vecchio, che riporta il testo dell'iscrizione (Nat. hist. III, 136-137).
[13] Il precedente per questa realizzazione era stato un trofeo, probabilmente di forma analoga, innalzato da Pompeo sui Pirenei dopo la vittoria su Sertorio (72 a.C.). Non si conosce con precisione il luogo dove sorgesse e le uniche notizie a disposizione sono le scarne informazioni di Plinio (Nat. hist. III, 18; VII, 96; XXXVII, 15). Un altro notevolissimo monumento appartenente a questa tipologia, in gran parte sopravvissuto fino ad oggi col suo importante corredo scultoreo, è il trofeo eretto da Traiano ad Adamklissi, nell'attuale Romania, per ricordare una sua vittoria durante le guerre daciche, in un sito che aveva già visto una rovinosa sconfitta romana all'epoca di Domiziano. A differenza dei tumuli di Pompeo e di Augusto, non era sormontato da una statua, ma da un grande trofeo in pietra. Oltre alle opere già citate per La Turbie, vd. almeno F.B. Florescu, Monumentul de la Adamklissi. Tropaeum Traiani, Bucureşti 1961; J. Baradez, Le trophée d'Adamclissi témoin de deux politiques et de deux stratégies, in Apulum 9, 1971, pp. 505-522; L. Bianchi, Adamclisi. Il programma storico e iconografico del trofeo di Traiano, in Scienze dell'antichità 2, 1988, pp. 427-473.
[14] L'iscrizione dedicatoria riporta la lezione praefectus ceivitatium (CIL V, 7231).
[15] Il monumento risale agli anni 9-8 a.C. ed è tuttora conservato in ottimo stato. Vd. B.M. Felletti Maj, Il fregio commemorativo dell'arco di Susa, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti 33, 1960-1961, pp. 129-153; S. De Maria, Apparato figurativo nell'arco onorario di Susa. Revisione critica del problema, in Rivista di Archeologia 1, 1977, pp. 44-52; J. Prieur, Les arcs monumentaux dans les Alpes occidentales. Aoste, Suse, Aix-les-Bains, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.12.1, Berlin 1982, pp. 442-475, specificamente pp. 451-459; L. Mercando, Riflessioni sul linguaggio figurativo, in Ead. (a cura di), Archeologia in Piemonte, II. L'età romana, Torino 1998, pp. 291-358, specificamente pp. 302-309.
[16] Come un denario di Marco Durmio del 19 a.C. Vd. P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Torino 1989 (ediz. orig. Augustus und die Macht der Bilder, München 1987), pp. 198-201. La restituzione delle insegne è ricordata da Augusto nelle Res gestae (29, 2) e da Svetonio (Aug., 21).
[17] Vd. R.F. Schneider, cit., pp. 115-125; Lexicon Topographicum Urbis Romae, a cura di E.M. Steinby, vol. I, Roma 1993, s.v. Basilica Paul(l)i, pp. 183-187 (H. Bauer), specificamente p. 185. I precedenti greci per la soluzione qui adottata sono forse da riconoscere nella controversa porticus Persarum di Sparta e nella "Facciata dei Prigionieri" di Corinto, sulle quali vd. R.F. Schneider, cit., rispettivamente pp. 109-114 e 128-130 (per la seconda occorre citare anche l'importante H. von Hesberg, Zur Datierung der Gefangenefassade in Korinth. Eine wiederverwendete Architektur augusteischer Zeit, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Athenische Abteilung 98, 1983, pp. 215-238).
[18] Cfr. C. Nicolet, L'inventario del mondo. Geografia e politica alle origini dell'impero romano, Roma-Bari 1989 (ediz. orig. L'inventaire du monde. Géographie et politique aux origines de l'Empire romain, 1988), pp. 41 ss.
[19] Vd. in proposito F. Coarelli, Il complesso pompeiano del Campo Marzio e la sua decorazione scultorea, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti 44, 1970-1971, pp. 99-122 (ora in Id., Revixit ars. Arte e ideologia a Roma. Dai modelli ellenistici alla tradizione repubblicana, Roma 1996, pp. 360-381).
[20] Suet., Nero 46, 1. Vd. P. Liverani, cit., pp. 244 ss.
[21] L'unica testimonianza letteraria in proposito è un passo di Velleio Patercolo (II, 39, 2), che parla solo di tituli, fra i quali è sicuramente da porre l'epigrafe rinvenuta. Vd. C. Nicolet, cit., pp. 59-65; P. Liverani, cit., p. 221.
[22] Vd. R.R.R. Smith, The Imperial Reliefs from the Sebasteion at Aphrodisias, in The Journal of Roman Studies 77, 1987, pp. 88-138; Id., Simulacra gentium. The Ethne from the Sebasteion at Aphrodisias, ibid. 78, 1988, pp. 50-77; Id., Myth and allegory in the Sebasteion, in Aphrodisias Papers. Recent work on architecture and sculpture, in Journal of Roman Archaeology suppl. 1, 1990, pp. 89-100; G. Bejor, Il culto imperiale e i suoi monumenti, in S. Settis (a cura di), Civiltà dei Romani. Il rito e la vita privata, Milano 1992, pp. 51-64, specificamente pp. 57-58; P. Liverani, cit., pp. 227-229.
[23] La corazza raffigura un generale romano che riceve le insegne di Crasso dalle mani del re dei Parti. Basti qui citare l'analisi di P. Zanker, cit., pp. 201-205.
[24] Il pezzo era stato reimpiegato, insieme ad un altro torso pure loricato, ma con la raffigurazione del Palladio troiano fra due danzatrici, in un tratto delle tarde mura urbiche, probabilmente non lontano dal luogo nel quale doveva trovarsi il foro cittadino. Per ragioni stilistiche, entrambe le sculture possono essere datate all'età tiberiana. Vd. L. Mercando, cit., pp. 315-316.
[25] Aeschyl., Prometh. 803-806; Herodot. III, 116; IV, 13; Plin., Nat. hist. VII, 10; Pomp. Mela II, 1-2; Aelian., De nat. animal. IV, 27. In generale sull'iconografia del mito vd. Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Supplementum, Zürich-Düsseldorf 1997, pp. 529-534, s.v. Arimaspoi (X. Gorbounova).
[26] Lo stesso Augusto doveva peraltro ammettere che la pace universale era stata ottenuta per mezzo della guerra: cum per totum imperium populi Romani terra marique esset parta victoriis pax (Res gest. 13).
[27] La bibliografia è molto vasta. Mi limito a segnalare alcuni lavori particolarmente importanti: G. Becatti, La colonna coclide istoriata. Problemi storici, iconografici, stilistici, Roma 1960; W. Gauer, Untersuchungen zur Trajanssäule, I. Darstellungsprogramm und künstlerischen Entwurf, Berlin 1977; G. Becatti, La Colonna Traiana, espressione somma del rilievo storico romano, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II.12.1, Berlin 1982, pp. 536-578; S. Settis, A. La Regina, G. Agosti, V. Farinella, La Colonna Traiana, Torino 1988 (di cui utilizzo la numerazione delle scene, a sua volta ripresa dalla grande opera di C. Cichorius, Die Reliefs der Trajanssäule, Berlin 1896-1900); F. Coarelli et al., La Colonna Traiana, Roma 1999.
[28] I Daci si procurano la morte per mezzo del veleno somministrato da uno di loro, che lo attinge da un recipiente (scena CXX; vd. S. Settis et al., cit., pp. 485-487, tavv. 227-229). Più avanti è mostrato anche il suicidio del re Decebalo, che si taglia la gola poco prima della sua cattura (scena CXLV; vd. S. Settis et al., cit., pp. 525-526, tavv. 267-268).
[29] Cfr. R. Bianchi Bandinelli, Roma. L'arte romana nel centro del potere, Milano 1969 (con numerose ristampe), pp. 242-249; Id., La Colonna Traiana: documento d'arte e documento politico (o Della libertà dell'artista), in Dall'ellenismo al medioevo, Roma 19802, pp. 123-140, soprattutto pp. 136-137.
[30] Cfr. le osservazioni di E. La Rocca, cit., pp. 3 ss., 22 ss. La tendenza a mostrare il nemico abbattuto dall'inclemenza della sorte, in una maniera atta a suscitare compassione e rispetto, trova comunque significativi precedenti nella storiografia di età ellenistica, rappresentata soprattutto da autori come Duride di Samo e Filarco, con la loro predilezione per le vicende biografiche e la psicologia dei personaggi descritti. Per i riflessi di questo atteggiamento nell'arte figurativa, ibid., pp. 28-29, e T. Hölscher, Il linguaggio dell'arte romana, Torino 1993 (ediz. orig. Römische Bildsprache als semantisches System, Heidelberg 1987), pp. 25-34. Un sentimento analogo è del resto espresso da sculture come i due Galati di Roma, citati all'inizio.
[31] Vd. R. Bianchi Bandinelli, Roma..., cit., pp. 242, 310.
[32] Plut., Aemil. 26, 8-12.
[33] Ibid. 28, 4.
[34] Vd. H. Kähler, Der Fries vom Reiterdenkmal des Aemilius Paullus in Delphi, Berlin 1965; F. Coarelli, La cultura figurativa, in Storia di Roma, II. L'impero mediterraneo, 1. La repubblica imperiale, Torino 1990, pp. 631-670, specificamente pp. 653-654; T. Hölscher, cit., p. 25.
[35] Per un'interessante analisi delle fonti che rievocano le reiterate ostilità fra Greci e orientali, dalla spedizione contro Troia alle guerre persiane e oltre, vd. Gh. Ceauşescu, Un topos de la littérature antique: l'éternelle guerre entre l'Europe et l'Asie, in Latomus 50, 1991, pp. 327-341.
[36] Vd. C. Nicolet, cit., pp. 79 ss.
[37] Aug., Res gest. 25-33. Vd. C. Nicolet, cit., pp. 27-40 e passim.
[38] Scena XXV. Vd. S. Settis et al., cit., p. 290, tav. 32.
[39] Scena XLV. Vd. S. Settis et al., cit., p. 326, tav. 68.
[40] Come dimostrano due teste mozzate e infisse su pali all'entrata di un accampamento romano (scena LVI; vd. S. Settis et al., cit., pp. 342-343, tavv. 84-85).
[41] Per la resa della violenza nelle rappresentazioni artistiche di età romana, vd. il recentissimo P. Zanker, I barbari, l'imperatore e l'arena. Immagini di violenza nell'arte romana, in Id., Un'arte per l'impero. Funzione e intenzione delle immagini nel mondo romano, Milano 2002, pp. 38-62 (ediz. orig. Die Barbaren, der Kaiser und die Arena. Bilder der Gewalt in der römischen Kunst, in R.P. Seiterle, H. Breuninger [a cura di], Kulturen der Gewalt. Ritualisierung und Symbolisierung von Gewalt in der Geschichte, Frankfurt am Main 1998, pp. 53-86). Cfr. anche Id., Le donne e i bambini barbari sui rilievi della Colonna Aureliana, ibid., pp. 63-78 (ediz. orig. Die Frauen und Kinder der Barbaren auf der Markussäule, in J. Scheid, V. Huet [a cura di], La Colonne Aurélienne. Autour de la Colonne Aurélienne. Geste et image sur la Colonne de Marc Aurèle à Rome, Turnhout 2000, pp. 163-174).
[42] Tali scene, coi relativi riferimenti, sono citate in E. La Rocca, cit., p. 31, nota 113.
[43] Benché siano molto più tardi, i famosi versi di Rutilio Namaziano esprimono felicemente la consapevolezza della superiore capacità organizzativa di Roma: Fecisti patriam diversis gentibus unam, | profuit iniustis te dominante capi; | dumque offers victis proprii consortia iuris, | urbem fecisti, quod prius orbis erat (De red. suo I, 63-66).
[44] Le armi sulla Colonna erano perlopiù realizzate in bronzo e inserite nelle mani dei combattenti. Queste appendici metalliche sono tutte perdute.
[45] L'esatta caratterizzazione delle genti vinte ha una lunga tradizione nel mondo antico, a partire dall'arte del vicino Oriente: vd. E. La Rocca, cit., pp. 8 ss.
[46] Vd. R. Brilliant, The Arch of Septimius Severus in the Roman Forum, in Memoirs of the American Academy in Rome 29, 1967; S. De Maria, Gli archi onorari di Roma e dell'Italia romana, Roma 1988, pp. 182-185, 305-307, n. 89; Lexicon Topographicum Urbis Romae, a cura di E.M. Steinby, vol. I, Roma 1993, pp. 103-105, s.v. Arcus: Septimius Severus (Forum) (R. Brilliant).
[47] Rimangono una ventina di figure, cui vanno aggiunte alcune altre, note per via indiretta. Vd. J.M.C. Toynbee, The Hadrianic School. A Chapter in the History of Greek Art, Cambridge 1934, pp. 152-159; M. Cipollone, Le province dell'Hadrianeum. Un tema dell'ideologia imperiale romana, in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli studi di Perugia, Studi classici 16, n.s. 2, 1978/1979, pp. 41-47; A.M. Pais, Il "podium" del tempio del Divo Adriano a Piazza di Pietra in Roma, Roma 1979; P. Liverani, cit., pp. 229-233; M. Sapelli, Provinciae fideles. Il fregio del tempio di Adriano in Campo Marzio, Milano 1999.
[48] Sono perciò gli attributi elefantini che permettono di riconoscere genericamente l'Africa in una scultura, proveniente con buone probabilità da questo tempio, che fu reimpiegata in un monumento cinquecentesco a Scipione l'Africano sul Campidoglio, presso il Palazzo Senatorio. Vd. P. Liverani, cit., p. 230, nota 44.
[49] Non va dimenticato l'antico uso di introdurre raffigurazioni delle gentes e delle città sconfitte nei cortei trionfali, secondo la testimonianza delle fonti, le quali possono fare riferimento a riproduzioni probabilmente pittoriche di luoghi reali come Livio (XXXVII, 59; XXXVIII, 43) e Plinio il Vecchio (Nat. hist. V, 36-37), oppure a statue o persone in carne e ossa come Virgilio (VIII, 722-728: è il trionfo di Augusto effigiato sullo scudo di Enea, ma non è escluso che possa esservi un riferimento alle sculture della porticus ad nationes). Cfr. P. Liverani, cit., p. 244 e nota 123.
[50] Si può ricordare, almeno, l'emissione di una serie monetale simile a quella delle province coniata da Adriano. Cfr. M. Cipollone, cit., p. 45, con bibliografia precedente.
[51] Vd. F. De Filippis, Il Palazzo Reale di Napoli, Napoli 1960, p. 67 e figura a p. 49.
[52] Esso, forse di età domizianea, decora una delle facce di un plinto, appartenente a una colonna del praetorium di un grande accampamento lì situato. Vd. E. Demougeot, cit., p. 129 e nota 20; W. Selzer, Römische Steindenkmäler. Mainz in römischer Zeit, Mainz am Rhein 1988, p. 241, n. 263.
[53] Scena CLIV. Vd. S. Settis et al., cit., pp. 543-546, tavv. 285-288.
[54] Vd. B. Andreae, Imitazione ed originalità nei sarcofagi romani, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti 41, 1968-1969, pp. 145-166, specificamente pp. 156-158; A. Giuliano (a cura di), Museo Nazionale Romano. Le sculture I, 8, Roma 1985, pp. 177-188, n. IV, 4 (L. Musso), soprattutto pp. 177-179. Sull'utilizzo dei barbari nella sfera funeraria vd. P. Zanker, Immagini come vincolo: il simbolismo politico augusteo nella sfera privata, in Id., Un'arte per l'impero, cit., pp. 79-91, specificamente pp. 85-86 (ediz. orig. Bilderzwang. Augustan political symbolism in the private sphere, in Image and Mystery in the Roman World [Festschrift J. Toynbee], Gloucester 1988, pp. 1-13).
[55] Proviene da una tomba scoperta nel territorio di Cesena e datata fra la metà del II e gli inizi del III secolo d.C. Vd. M. Marini Calvani, R. Curina, E. Lippolis (a cura di), Aemilia. La cultura romana in Emilia Romagna dal III secolo a.C. all'età costantiniana (Catalogo della Mostra, Bologna 2000), Venezia 2000, p. 500, n. 179 (M.G. Maioli), con bibliografia.